Al Teatro Duse il 5, 6 e 7 novembre va in scena il Don Giovanni, una produzione creata dall’Orchestra Senzaspine che, grazie alla collaborazione con importanti istituzioni del territorio, ha dato vita a un percorso di coprogettazione che ha coinvolto persone non vedenti, non udenti, bambini con forti disturbi fisici e psichici, famiglie, artisti e professionisti del mondo dello spettacolo. Perché gli strumenti per includere esistono e sono alla portata di tutti, quello che serve è attenzione e cura
di Tommaso Ussardi, presidente Associazione Senzaspine e direttore d’orchestra
L’arte è il patrimonio più prezioso che abbiamo, un patrimonio di cui prendersi cura, da coltivare ogni giorno, una fonte di emozioni e di ispirazione da cui possiamo dissetarci senza preoccupazioni di sazietà e da cui nessuno deve rimanere escluso. Gaetano Salvemini scriveva ‘La cultura è il superfluo indispensabile’, e possiamo dirlo, un bene indispensabile come l’aria che respiriamo, perché ci rendiamo conto di quanto sia necessario solo quando ci viene tolto.
Spesso si parla di cultura come bene universale, bene comune, ma ne siamo proprio sicuri?
Negli ultimi sette mesi mi sono dedicato tutti i giorni al progetto Don Giovanni, nato per mettere in scena il capolavoro mozartiano, una produzione creata dall’Orchestra Senzaspine, che sarà in scena al Teatro Duse di Bologna il 5, 6 e 7 novembre.
Grazie alla collaborazione con importanti istituzioni che ogni giorno lavorano sul nostro territorio, abbiamo intrapreso un percorso di coprogettazione per coinvolgere persone non vedenti, persone non udenti, bambini con forti disturbi fisici e psichici, gruppi di studenti del liceo, famiglie, artisti, professionisti del mondo dello spettacolo: persone, tante persone. Insieme abbiamo capito che gli strumenti per includere esistono, sono alla portata di tutti, quello che serve è attenzione, cura.
Più passano i giorni e più ci convinciamo che ‘inclusione’ si traduce in accoglienza e condivisione e che ‘accessibilità’ significa dare la possibilità agli individui di esplorare uno spazio e un contenuto in completa autonomia, condizione, questa, che per un disabile è forse il più grande desiderio.
Purtroppo, il torpore della normalità spesso ci chiude gli occhi e le orecchie e forse i sensi tutti, non permettendoci di mettere in campo quelle piccole attenzioni che consentirebbero a molte più persone di accedere alle bellezze dell’Arte, un’esperienza troppo spesso esclusiva e riservata a pochi ‘fortunati’.
La responsabilità è nostra, noi artisti e noi operatori culturali abbiamo il compito di abbattere tutti i muri che separano, disabilitano, escludono e allontano le persone dalla partecipazione, trovando gli strumenti per superare tutte le barriere fisiche, sociali e culturali per rendere veramente accessibili ed inclusivi sia gli spazi sia i contenuti.
Da otto anni con l’Orchestra Senzaspine cerchiamo di lavorare in questa direzione, condividendo spazi, idee e progettualità per creare opportunità di scambio e per togliere tutte quelle spine che fanno male alla musica. Questo Don Giovanni rappresenta il cuore della nostra missione. Nonostante quest’opera il 29 ottobre 2021 abbia compiuto 234 anni dalla sua prima rappresentazione, resta la più attuale e contemporanea di sempre, perché ogni volta che la incontriamo è in grado di trasformarci e confonderci, sfocando i confini tra il bene e il male, tra il dramma e il gioco e facendo percepire la vertigine verso quel crepaccio oscuro su cui siamo affacciati per tutta la vita. Un oblio che Don Giovanni chiama libertà.
Abbiamo scoperto come gli strumenti e i linguaggi immaginati per aiutare a superare alcune disabilità possono diventare mezzi di utilità e soprattutto di espressività comune. Questo ha cambiato radicalmente la mia percezione del significato di inclusione e condivisione; come nel caso della LIS, la lingua italiana dei segni, una lingua in cui le parole prendono forma attraverso di-segni che le mani creano nell’aria.
Affascinati dalla sua teatralità e potenza espressiva, insieme al regista Giovanni Dispenza, ci siamo detti: “perché rinchiuderla in un angolo a servizio solo delle persone non udenti?” E così è nata l’idea di portarla in scena come strumento per amplificare il significato profondo delle parole. Utilizzare strumenti come i sopratitoli, organizzare percorsi tattili per scene e costumi, mettere a disposizione una lettura audio e video del libretto di sala, spiegare regia e musica, ridurre e trasformare il testo in illustrazioni, sono azioni semplici ma necessarie per facilitare la comprensione dell’opera e abilitare le persone all’incontro e al confronto con questo capolavoro.
Escludere anche un solo individuo da un’esperienza artistica così profonda è per me un discrimine e quando la madre di un ragazzo sordo ci ha ringraziato, perché suo figlio si è incredibilmente appassionato all’opera, è stato per noi il regalo più bello che potessimo ricevere; un segnale che ci indica che questa è la strada da percorrere.