Riflessioni sul ban dell’account Instagram di CHEAP (e sulle tutele dei nuovi lavori)

Il profilo social del collettivo è stato disattivato senza nessun preavviso. Questo tipo di situazioni sempre più frequenti non minano solo i singoli progetti attaccati ma devono farci capire che ogni attività presente in rete è potenzialmente sotto scacco. A oggi non esistono strumenti che preservino da questi abusi

di Andrea Femia, digital strategist cB


Con il direttore del Cantiere Giampiero Moscato e con il caporedattore Di Biase abbiamo spesso sorriso, al limite ben valicato della presa per il culo, della definizione di digital strategist che vedete ancorata lì vicina al nome di chi scrive. Un po’ per lo spocchioso anglismo, un po’ perché quando parli di strategia ti viene subito in mente Napoleone o, al più, Marcello Lippi. 

Potrete giustamente chiedervi cosa c’entri tutto questo con il principio dell’articolo. Ecco, è giusto che io vi dica che se ve lo chiedete siete quelli tra Napoleone e Lippi, ma ci sta, con affetto.

Di alcune delle iniziative di CHEAP abbiamo già parlato in passato e ho già avuto la fortuna di interfacciarmi con il loro mondo, ma ciò che non è mai uscito fuori a sufficienza è che questo collettivo sia, a Bologna, uno degli esempi più virtuosi di cosa significhi avere una visione strategica capace di coniugare la presenza digitale e quella di strada. La virtù massima sta nel fatto che non è chiaro se siano più le strade a prendere forza dal digitale o il contrario. 

Ebbene, è successa una di quelle cose che se fai il lavoro di cui sopra temi costantemente. L’account Instagram di CHEAP è stato disattivato. Così, dal nulla.

In realtà dietro queste situazioni una spiegazione c’è sempre, il problema è che non la puoi davvero sapere. Può dipendere da una segnalazione di massa di qualcuno dei tuoi contenuti (a volte volutamente architettata da un tuo competitor), così come può dipendere dall’incapacità del famoso algoritmo di capire che hai rappresentato le nudità per mezzo di disegno artistico e non per mezzo di pornografia reale, e non stiamo qui a discutere di quanto sia inopportuno che un capezzolo maschile passi agilmente il controllo delle macchine segrete mentre il capezzolo femminile ti può far chiudere per sempre. Non è questo il punto, benché sia sicuramente un problema da approfondire. 

In questo caso specifico, però, ciò che conta è che viviamo in un’era abbastanza particolare in cui è estremamente difficile immaginare che un’attività di contatto con il pubblico possa esistere senza la presenza sui social network, e quando parlo di attività intendo di problema riferibile alla sfera reale del lavoro. Sapete quella cosa che genera (non sempre a dire il vero) i soldi che a loro volta ti aiutano a vivere la vita reale, ecco, il lavoro di oggi spesso ha a che fare con i social network. Da chi produce farmaci a chi organizza corsi, da chi vende scarpe a chi pubblicizza la propria arte, non esiste un settore che ne sia esente; molto spesso i profili social sono il bene più prezioso di un soggetto giuridico, il luogo dove fattualmente si svolge l’attività, eppure non esiste una regola che possa far dormire tranquillamente chi se ne occupa e questa cosa è oggettivamente gravissima, non fosse altro perché è molto complicato immaginare che la classe dirigente attuale se ne preoccupi con forza.

Due sono i motivi. Il primo è che sempre più spesso questi lavori sono appaltati a consulenti esterni, per cui è bene che risolvano loro ciò che va risolto anche se nei fatti non esistono modalità che non siano aleatorie (dai, ve lo immaginate un sindacato che si mette lì a chiedere con forza che Facebook risponda alle segnalazioni dei problemi altrimenti un consulente perde il lavoro da un giorno all’altro?). 

Il secondo è che, essendo lavori nuovi, non esiste quel sentimento di urgenza che faccia immaginare che non è la stessa cosa riaprire un nuovo profilo rispetto ad avere di nuovo la gestione di quello bloccato. Nel caso di CHEAP, il loro account era seguito da oltre 40mila persone e per giunta c’è un lavoro di archivio e di dati interni che fanno capire al professionista cosa funziona e cosa no. Comprenderete bene che ripartire da zero non è esattamente la stessa cosa.

Chiudo con un appello, che poi è il loro:

Vai sul tuo profilo IG personale, dalla home seleziona in alto a destra il menù, Impostazioni > assistenza > segnala un problema > qualcosa non funziona. Poi fai copia/incolla di questo messaggio:

L’account di CHEAP street poster art é stato ingiustamente disabilitato: vi chiediamo di riattivarlo il prima possibile.

Photo credits: CHEAP


2 pensieri riguardo “Riflessioni sul ban dell’account Instagram di CHEAP (e sulle tutele dei nuovi lavori)

  1. Fatto con molta convinzione e con il profondo disagio per una vicenda che chiarisce quali problemi di democrazia si stanno creando

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