Città metropolitana, arriva il piano ‘Grande Bologna’

La ristrutturazione del Servizio sanitario è stata messa in cima alla lista delle cose da fare. Lepore correttamente parla di ‘sussidiarietà circolare’ per disegnare una rete nuova, qualificata e integrata. Ha il vantaggio di muoversi in una realtà ricca di risorse esterne, come le associazioni di volontariato e il Terzo settore, ed interne, come il Policlinico-Irccs S.Orsola. Esistono tutte le premesse per riportare la nuova sanità pubblica al primato nazionale che le compete

di Giovanni De Plato, psichiatra e scrittore


Il sindaco Matteo Lepore ha annunciato che entro fine gennaio presenterà il programma delle priorità del 2022 che vanno dalla sanità alla riconversione green. I primi cento giorni gli sono serviti a riorganizzare la macchina comunale e metropolitana in modo che l’amministrazione sia pronta a spendere bene i fondi che arriveranno dal Pnrr.

La ristrutturazione del Servizio sanitario è stata messa in cima alla lista delle cose da fare nell’immediato. Non più una promessa da campagna elettorale ma la realizzazione di un sistema nuovo di sanità pubblica, che tenderà a rafforzare e qualificare il modello universalistico della salute per tutti, contenendo la spesa privata sostenuta dal cittadino che è arrivata a pesare circa il 30% rispetto a quella del Fondo sanitario nazionale. La sanità privata ha sfruttato il sottofinanziamento del Servizio pubblico per sostituirsi a esso ritenendolo un conveniente business. Cosa che vede anche le farmacie e i Centri medici dei privati e delle assicurazioni molto interessati a fornire prestazioni di tamponi antigenici (circa 40 euro l’uno) e tamponi molecolari (fino a 120 euro).

La corsa al tampone, meglio nota come ‘tamponite’, è stata innescata da norme ministeriali e locali burocratiche e confuse che hanno lasciato campo libero al commercio privato, con certificazioni spesso inutili a cui non sa sottrarsi il cittadino confuso da una comunicazione dei media allarmistica della pandemia Covid. Bene ha fatto il sindaco Lepore a tenersi la delega sulla sanità e la presidenza della conferenza sanitaria territoriale, perché c’è davvero l’urgenza di una svolta radicale sia organizzativa sia gestionale dell’intero settore e su tutto il territorio metropolitano. Il sindaco ha specificato che la medicina di comunità e l’integrazione socio-sanitaria saranno i pilastri su cui ridisegnare i Servizi della salute post-pandemia.

Giustamente si pone il problema di non intervenire a valle del contagio (diagnosi e cura ospedaliera), come sta avvenendo attualmente nel sistema regionale, ma a monte con prevenzione e assistenza primaria, imperniate sulle Case di comunità e sull’assistenza domiciliare, come non si è fatto finora. Le Case di comunità (della salute) mancano ancora di un modello di servizio riferito alla persona e alla famiglia, sono genericamente sottoutilizzate come poliambulatori. E non qualificate come centri della medicina primaria, ridefinendo il ruolo e le funzioni del medico di medicina generale (di famiglia) e del pediatra di libera scelta, le cui prestazioni vanno messe in rete con i servizi ospedalieri, specialistici e con l’assistenza domiciliare.

Bisogna cambiare registro. Si tratta di abbandonare il modello ospedale-centrico o esclusivamente curativo e di costruire un sistema prevalentemente preventivo e di presa in carico o di cura a domicilio, facendo del territorio lo spazio d’integrazione ospedale-abitazione. Da questa visione alternativa scaturisce il ruolo strategico del Distretto che non può essere considerato un’appendice dell’Azienda sanitaria, ma l’unità territoriale d’integrazione interaziendali (Ausl-Asp), interdipartimentale (ospedale-territorio) e interistituzionale (pubblico-privato profit-terzo settore). Il Distretto va dotato di proprie risorse finanziarie e deve rispondere anche all’autorità sanitaria territoriale rappresentata dal sindaco.

La medicina di prossimità è la miglior risposta non solo per le malattie infettive ma per tutte le altre patologie, perché l’intervento precoce permette di raggiungere esiti di salute di maggiore efficacia e in minor tempo di cura. I vantaggi di questo nuovo approccio vanno misurati non nel breve periodo (per le maggiori risorse che richiede) ma nel medio e lungo periodo, quando i suoi effetti pienamente dispiegati non saranno solo di benessere della salute del singolo e della collettività (riduzione della richiesta di prestazioni) ma di utilità economica e di civiltà sociale. 

Lepore correttamente parla di ‘sussidiarietà circolare’, un paradigma che permette di disegnare una rete nuova, altamente qualificata e integrata, e non di restaurare l’esistente già destrutturato dalla pandemia. A questo fine il sindaco ha il vantaggio di muoversi in una realtà ricca di risorse esterne come le associazioni di volontariato (Ail, Ant e altri) e il Terzo settore che vanno direttamente coinvolti nella programmazione e attuazione dei servizi di comunità e delle prestazioni domiciliari. Una realtà ricca anche di risorse interne, vedi le eccellenze del Policlinico-Irccs S. Orsola. Esistono tutte le premesse per riportare la nuova sanità pubblica della Città metropolitana al primato nazionale che le compete.


3 pensieri riguardo “Città metropolitana, arriva il piano ‘Grande Bologna’

  1. Io non ho capito niente, da questo linguaggio generico e queste espressioni un po’ convenzional-sanitarie: ma se si ridurranno le attese di ore, ore ed ore al pronto soccorso ad anziani (e non si tirino in ballo codici rossi: è la regola), se le medicine generali, e le geriatrie cesseranno di essere reparti di qualità non comparabile a quella delle specialità, visibilmente; se le persone non autosufficienti non dovranno contare in maniera preponderante sulle proprie tasche per ricevere cure necessarie, allora va bene. Però sarebbe bene vigilare un po’ che alle parole seguano dei fatti: fra FICO, il grande piano Pilastro 2016, e diversi altri casi che sarebbe tedioso enumerare, non è la prima volta che la Montagna partorisce un topolino.

  2. Caro Gianni mi riesce sempre difficile intendere cosa intendi con fare prevenzione e non cura. Nel tuo scritto sembra che tu intenda invece di prevenzione, ipotetica e prevalentemente dipendente dal singolo stimolandolo a seguire i consigli che ormai sanno tutti, con diagnosi precoce. Diagnosi e terapia precoci che sono sicuramente auspicabili e avrebbero migliorato molto i dati nel caso delle pandemia. Per il resto credo utile che si incrementi il budget delle sanità pubblica per la quale si è consigliato ai medici di base di consorziarsi senza però fare strutture e stanziamenti conseguenti:
    a Bologna di Case della Salute ne esistono forse due o tre e non mi sembra che ne stiano costruendo altre inoltre, la solita dolente nota, i medici di base non vi operano se non raramente e su base volontaria.

  3. Sostenere , come fa Giovanni De Plato che la sanità regionale sia “da rivoltare come un un guanto” mi pare un tantino eccessivo. Anche perché De Plato poi non segnala quegli ambiti in cui le difficoltà del sistema sanitario sono evidentissime. Mentre poi individua rimedi salvifici in interventi politico dirigistici .

    Solo alcuni esempi campione:

    1) non è possibile che si continui a non mettere in atto interventi e investimenti necessari (in primis l’aumento considerevole del personale sanitario) per mitigare i disagi, non certo per responsabilità degli eroici operatori sanitari, nei Pronto soccorsi dove i cittadini passano spesso giorni interi e pure a volte notti.

    2) l’organizzazione dei reparti non in specializzazioni ma in livelli bassi, medi e alti di gravità, penalizza i reparti di medicina generale e geriatria. La desanitarizzazione delle patologie degli anziani si sta rivelando una declassificazione delle patologie degli anziani.

    3) la centralità di Bologna come sede di altissime specializzazioni è insidiata da altre sedi in altre città della regione, anche vicine a Bologna. Non è solo un gara, che sarebbe positiva e di qualità, ma si tratta spesso di discrete pressioni di lobby politiche. È noto, da molto tempo, che nella geografia dei “pesi “ Bologna non ha mai contato molto a livello regionale, soprattutto oggi. Avere l’Assessore alla sanità regionale bolognese non vuol dir molto.

    4) Giovanni De Plato si dice entusiasta del fatto che Lepore si è tenuto per sé la delega della Sanità, a Bologna quindi l’assessore alla sanità è il sindaco. Si tratta di una scelta in linea con gli aspetti “non politici” del sindaco. È un errore serio, in una città come Bologna deve esserci un assessore alla sanità, non vorrei che il Sindaco amasse un ruolo personale verso un mondo, non è un’accusa ma un dato oggettivo, in cui troppo spesso prevalgono gli interessi delle lobby sugli interessi generali. È una illusione, lo abbiamo visto con qualche assessore di un passato non lontano. Occorrono conoscenza e sapienza e, mi scuso della “brutalità “, non bisogna farsi infinocchiare. E dire che Lepore la persona giusta ce l’aveva già.

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