La Grande Bologna e i de Coubertin

Avanza la città del futuro, mega progetti e mega investimenti. Fino a che punto i bolognesi potranno codecidere? La memoria induce a pessimismo. Fin qui è stato garantito soltanto il diritto di partecipare (invano) ai dibattiti. Un patto tra Comune e cittadinanza per la democrazia partecipata è ancora possibile

di Achille Scalabrin, giornalista


Il progetto ha un nome altisonante: Grande Bologna. Inizia con i venti ettari di aree dismesse dalle Ferrovie dello Stato tra l’ex scalo Ravone e il Dopolavoro ferroviario, per poi abbracciare i 500 ettari su cui verrà calata la “riqualificazione della città”. In altre parole, si tratta di disegnare la Bologna del futuro, di farla Grande mettendo insieme interessi e investimenti pubblici e privati.

È presto per capire cosa si cela realmente dietro gli spot politico-amministrativi, è presto quindi per esprimere giudizi. Ma è già tempo di sapere fino a che punto sarà possibile ai cittadini di Bologna condividere e codecidere la riqualificazione della loro città.

La memoria induce a pessimismo. «Ambiente, urbanistica, mobilità, comunità, nuove occasioni di socialità potranno essere costruite al meglio se si fanno insieme, con la partecipazione attiva dei cittadini, spostando il tema da una partecipazione come richiesta di consenso o come protesta a una partecipazione dove si decide insieme cosa fare». Virginio Merola dixit, Anno Domini 2016. L’oggetto di tanti bei propositi? Il Passante di mezzo. Vale a dire proprio l’opera contro cui sembra essersi in realtà schiantato il rapporto di fiducia tra molti bolognesi e i loro amministratori.

Il confronto pubblico è stato fallimentare dal punto di vista dei cittadini invitati a esprimersi, e non poteva essere diversamente. A organizzarlo, a spese della Società Autostrade, è stata un’agenzia privata, Avventura Urbana, che aveva il compito di disarmare le critiche al progetto. Tanti bolognesi chiamati intorno a dei tavolini per «un confronto con esito sostanzialmente predeterminato», come sottolineò fin da subito Legambiente.

Non diverso l’esito dei confronti organizzati da Urban Center (prototipo della Fondazione Innovazione Urbana) su altri progetti urbanistico-ambientali. Forse perché emanazione del Comune, socio fondatore insieme all’Università, ha trasmesso ai partecipanti la sensazione di essere stati invitati a talk show con conduttori-pifferai chiamati a gestire – per dirla con Merola – «la partecipazione come richiesta di consenso».

Insomma, secondo i de Coubertin di Palazzo, l’importante per i cittadini è partecipare, non certo codecidere. Da qui l’insignificante accoglimento delle modifiche proposte dai bolognesi per i vari progetti.

Tutto ciò in una Regione, l’Emilia-Romagna, che già nel 2010 ha approvato (seconda in Italia, dopo la Toscana) una legge sulla «partecipazione all’elaborazione delle politiche pubbliche», sostituita da quella del 2018, che ha tra gli obiettivi «la partecipazione dei cittadini ai processi di assunzione delle decisioni e di valutazione di politiche e servizi pubblici» (art. 3: «Il risultato del processo partecipativo è un documento di proposta partecipata di cui l’ente responsabile si impegna a tener conto nelle proprie deliberazioni»). Evidentemente, alla luce dei fatti, la legge non sembra in grado di garantire quanto promesso.

Si potrebbe forse indirizzare le speranze all’Assemblea dei cittadini che Bologna, prima città in Italia, ha inserito nello Statuto del Comune su input di associazioni quali Extinction Rebellion e Politici per caso, affiancate dal professor Rodolfo Lewanski, docente di Democrazia partecipata all’Alma Mater Studiorum. Qui viene garantito il diritto di «concorrere allo svolgimento e al controllo delle attività poste in essere dall’amministrazione locale», relativamente alla questione climatica e ambientale.

La “piccola rivoluzione”, approvata dal Consiglio comunale nell’estate scorsa, è però in attesa di un regolamento attuativo che dia ai «cittadini estratti a sorte e rappresentativi delle diverse componenti della società» gli strumenti per confrontarsi e definire proposte condivise.

Forse si potrebbe calare lì dentro il patto (non parolaio) tra cittadinanza e amministrazione sulla democrazia partecipata, per evitare che per la Grande Bologna come per gli altri progetti si ripeta quanto visto fin qui in tutti i quartieri, vale a dire dibattiti-sfogatoio ininfluenti.  «Servono modelli di co-design, partecipazione e condivisione con la cittadinanza», ha affermato la neo presidente di Fondazione Innovazione Urbana, Erika Capasso. Solo un sequel del “Merola dixit”?

Photo credits: Ansa.it


2 pensieri riguardo “La Grande Bologna e i de Coubertin

  1. Comandano e decidono o non decidono i tecnici forti della legge Bassanini; poi solo chiacchiere dal basso e dall-alto

  2. In questo contesto, mi chiedo quanto la cittadinanza sia stata coinvolta nel grande progetto di riqualificazione dell’Orto Botanico , progetto che ha raccolto tra i 600e i 700 mila €, ma ha sollevato diversi dubbi da parte degli ambientalisti. Certo il luogo aveva bisogno di miglioramenti, e questo comporta anche aumentare il personale , o fare pagare un biglietto d’ingresso, etc. Oggi ho appreso che il riallestimento comporterà l’abbattimento di numerose piante, lo spostamento dello stagno ed interventi “pesanti”sulle serre. Mi auguro che, ancora una volta, riqualificazione non faccia rima con demolizione.

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