Un nuovo patto sociale per l’Europa

La genesi della cooperazione in Europa risulta essere un’opera a più voci, o meglio a più lingue. E la sua è una natura glocal: transnazionale per genesi e ampiezza di sguardo, locale per operatività e impegno sociale. La via dell’integrazione europea avrà successo nella misura in cui seguirà il medesimo paradigma

di Daniele Ravaglia, presidente Confcooperative Bologna


Tra i fattori coesivi della costruzione europea vanno considerate le grandi esperienze comuni che ne hanno preceduto l’istituzionalizzazione.

Tra queste, si può annoverare il fenomeno cooperativo, emerso a metà Ottocento, nell’epoca degli Stati nazionali. La società agricola tradizionale andava sfaldandosi e la cooperazione rispose agli squilibri prodotti dalla rivoluzione industriale. Gli strati meno abbienti della popolazione reagirono a partire da una forma di impresa in grado di ribaltare la gerarchia di valori del modello capitalista, mettendo al centro la persona e il lavoro.

La nascita dell’impresa cooperativa si fa risalire a Rochdale, in Inghilterra. A guardar bene però la genesi della cooperazione in Europa risulta essere un’opera a più voci, o meglio a più lingue. Alla vigilia della sua unificazione, la Germania fu la culla del credito cooperativo. I primi tentativi vennero da Friedrich Raiffeisen, le cui associazioni rurali di prestito arrivarono in Italia con il nome di casse rurali, antenate delle odierne Bcc (Banche di Credito Cooperativo). In Francia si sviluppò per prima la cooperazione di produzione, a partire dagli ateliers nationaux, officine cooperative nate per assorbire la disoccupazione. In Italia le prime esperienze cooperative germinarono dentro alle società di mutuo soccorso, spesso in forma di cooperazione di consumo e di lavoro. Nel Nord Europa si diffusero cooperative agricole e zootecniche. E così via.

Anche alla genesi intellettuale della cooperazione parteciparono pensatori da tutta Europa. Nel crogiuolo della storia, tutte le matrici culturali e politiche furono coinvolte nella costruzione del fenomeno cooperativo: dai cattolici ai socialisti, dai repubblicani ai liberali. Questa varietà di origine – che in altri periodi determinò anche scontri ideologici – costituisce oggi una delle fondamenta comuni dell’economia e della società europee.

La cooperazione ha natura glocal: transnazionale per genesi e ampiezza di sguardo, locale per operatività e impegno sociale. La via dell’integrazione europea avrà successo nella misura in cui seguirà il medesimo paradigma: la costruzione di modelli generali, capaci di declinarsi nei territori e coinvolgere le comunità locali. Le agende politiche a cui si tenta di dare forma – sostenibilità ambientale, transizione digitale, rinnovamento dei sistemi di welfare – hanno bisogno sì di quadri di riferimento comuni, ma anche di declinazioni diffuse capillarmente, così da evitare lo scollamento tra popoli e poteri europei. In questa prospettiva, la prossimità dell’agire cooperativo può essere una componente strategica.

Ad oggi la presenza della cooperazione non è omogena in Europa: le nazioni che più negli scorsi decenni sono state permeate dell’ideologia neoliberista hanno visto un drastico ridimensionamento dei corpi intermedi e la promozione di modelli competitivi privi di temperamenti sociali. La crisi del 2008 ha segnato uno spartiacque, un momento di autocoscienza in cui si è dovuta riconoscere la necessità di ri-umanizzare l’economia.

Oggi assistiamo a un avvicinamento delle società di capitali alle tensioni profonde del movimento cooperativo: sempre più la dimensione della responsabilità sociale è inclusa nei modi di fare impresa. Dall’altra parte, la cooperazione deve tenere il passo del mercato: oggi sappiamo che le cooperative possono avvantaggiarsi della forma giuridica della società di capitali senza per questo perdere la propria natura. La spa rimane sotto il controllo della cooperativa e viene utilizzata come strumento per svolgere al meglio la propria missione.

Vediamo le condizioni per un avvicinamento tra i due mondi. E in Europa c’è spazio per un nuovo patto sociale, che parte dall’economia e approda alla società.

Occorre che anche la cooperazione faccia la sua parte, coltivando una nuova classe dirigente che abbia le competenze necessarie ad attualizzarne la cultura. Il rinnovarsi della cooperazione contribuirà a dare slancio all’economia sociale europea e a rinsaldare i legami comunitari, contro i venti illiberali e antidemocratici che oggi tornano a spirare.


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