“Il comico è un tragico visto di spalle”

Eros Drusiani, attore e scrittore, è presente in libreria con “Sproloqui” (BOH! Edizioni, 2021). Una raccolta di dialoghi in dialetto bolognese che, con ironia, sembra dirci quanto siamo infinitamente piccoli nell’immenso ingranaggio della vita

di Vincenzo Giuseppe De Girolamo


“Al Sulitèri”, “Al Mèr”, “L’Esperianza“, “L’Aldilà“. Sono alcuni dei titoli contenuti nel libro, composto di centosette pagine animate dalla fatica del vivere quotidiano dei protagonisti. Le storie dei personaggi principali sembrano vissute da sognatori in viaggio. Il loro colloquiare distaccato è un fare cordiale con una pinta esasperante d’ostinazione. L’ambiente in cui si muovono, si ritrova nei bar dei quartieri periferici bolognesi, alle fermate degli autobus, nei negozi o al mercato.

Il testo è una raccolta di dialoghi e monologhi in dialetto bolognese. Si parte con la solitudine di Napoleone e si arriva a scorrere l’esistenza di gente comune, uomini marginali e pieni di cicatrici.

Possiamo dire che in Sproloqui il tono comico-satirico racchiude un seme d’irrazionale?

Questo suo, è un modo per nobilitare una cosa più banale: molta gente parla perché ha la lingua e non usa la testa. I miei personaggi sono tratti dalla realtà. Alcuni riportano cose serie e molto vere, altri riprendono realtà che mostrano una totale irragionevolezza. Resto convinto che l’idiozia e gli imbecilli esistano. Per questo ho sempre ammirato Carlo M. Cipolla. Ritengo il suo lavoro La Legge Fondamentale della Stupidità Umana uno degli scritti più geniali mai editati.

L’uso delle frasi corte serve a rendere più diretti i dialoghi?

Non è una tecnica. Mi è venuta così. In realtà credo che sia l’uso del dialetto che porti a questo risultato, che appare estremamente più immediato dell’italiano. Per dire la stessa cosa usa meno parole, ha metafore diverse e risulta più compiuto nella sua bellezza.

Come costruisce il nonsense racchiuso nelle battute dei personaggi?

 Diceva il mio amico Freak Antoni, che Dio l’abbia in gloria sperando che sia da qualche parte, “Il comico è un tragico visto di spalle”. In realtà non c’è comicità se non c’è un po’ di disgrazia o di dolore.                                                        

Perché ha scritto un libro in bolognese?

Quando ho scritto il libro, per sei mesi ho pensato e scritto in bolognese. Vengo da una famiglia che parlava bolognese. Mio nonno alla morte della nonna venne ad abitare con noi e per comunicare parlava solo bolognese. Aggiunga che, quando ero giovane nei bar e un po’ dovunque si parlava solo in bolognese. A me piaceva molto, tanto che alcune frasi sono rimaste dentro di me da allora.

La sua scrittura risulta rapita e asciutta. Per quale esigenza?

Scrivere in maniera serrata mi viene in modo naturale, di là dal fatto se scrivo in dialetto o in italiano. Forse perché lo scritto me lo rappresento sempre come se fossero detti o battute teatrali.

Come sceglie la sequenza da montare nelle sue storie?

In Sproloqui non ho seguito una direttrice precisa. Sono stato più attento a portarne tanti argomenti: dalla politica all’economia, dalla religione alla vecchiaia, dalla salute ai dubbi esistenziali.

Che cosa resta dopo la scrittura?

Credo che chi scrive, ma in generale tutti noi abbiamo dei cassettini, dove riponiamo fotogrammi del nostro tempo. Ho sempre con me un “quadernino”. Lì scrivo quello che vedo intorno a me. A guardarci bene sembriamo tutti uguali, poi ti accorgi che al mondo c’è una fauna incredibile di squinternati non male. É un gioco pirandelliano e un po’ psico-qualcosa.

Ho sempre voluto guardare le cose dal versante comico. Zamjatin, scrittore russo, diceva che per sopportare le avversità della vita ci sono la religione oppure l’ironia. Ecco io non credo nell’Aldilà e ci ho provato con l’ironia. Funziona meno perché sei meno sicuro.

Secondo lei gli episodi comici quando si manifestano?

Se ci pensa la comicità involontaria è sicuramente la più esilarante. Ci sono delle battute clamorose che nascono da un cortocircuito involontario, come quella riportata dal titolo di un quotidiano che annuncia “Si è spento l’uomo che si è dato fuoco”.

Quale motivazione dovrebbe avere un lettore per decidersi a leggere il suo libro?

Semplicemente, uno dovrebbe leggere Sproloqui per farmi un regalo. In fondo, se uno ci pensa, la “fauna” umana contenuta nei personaggi del libro parla a tutti noi. Sembra dirci quanto siamo infinitamente piccoli nell’immenso ingranaggio della vita e che abbiamo bisogno di qualcuno diverso da noi per poterci salvare.


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