L’Italia, soprattutto Bologna e l’Emilia-Romagna, hanno il vantaggio della tradizione delle cooperative e delle attività economiche di quartiere. Se non i fondi del Pnrr, non sarebbe possibile utilizzare una minima parte di quelli previsti per la coesione europea per implementare progetti pilota di nuovi modelli metropolitani iper-locali nel nostro Paese?
di Francesco Maria Cannatà, giornalista freelance
Presentando nel 1958 l’Esposizione Universale di Bruxelles, la prima dopo il secondo conflitto mondiale, Robert Jungk sosteneva che gli edifici più belli dell’Esposizione non saranno quelli «ispirati dal danaro e dalla potenza, bensì quelli impregnanti della presenza avvertibile dell’uomo».
In un momento in cui la vita nelle città soffre le difficoltà dell’attuale modello metropolitano e la guerra di aggressione russa all’Ucraina pone il progetto europeo di fronte al dilemma di rientrare nella Storia o perire, si può ripartire da quella frase per dare alla cultura europea un nuovo modello di vita in comune?
Esiste una parola o meglio un concetto, che tra alti e bassi intreccia da sempre le vicende del nostro continente. Dalla Grecia antica ai giorni nostri. La Polis. Naturalmente i modelli cittadini del passato non sono automaticamente applicabili ai nostri giorni. Eppure nel progetto di “città dei 15 minuti” dell’urbanista franco-colombiano Carlos Moreno potrebbe rivivere lo spirito delle antiche città greche. A Parigi come a Bologna, a Londra come a Reggio Calabria, a Chicago come a Roma, Berlino o Copenaghen, la “città dei 15 minuti” potrebbe affermare modelli di vita sostenibili, ecologici, democratici, socialmente ed economicamente vivaci.
Luoghi dove tutto quello che occorre alla vita quotidiana sia raggiungibile in tempi non esasperanti e modi non alienanti. In una parola il villaggio dentro la città, oppure, come immaginano in Svezia, trasformare il territorio urbano in uno spazio metropolitano iper-locale. La polis contemporanea diventerebbe cosi la città della comunità e dell’individuo, del pubblico come del privato. La “città-arcipelago” di Stefano Boeri.
Un’utopia distante dalla realtà? Non sembra vista l’esperienza della Germania, dove per contrapporsi alla desertificazione dei centri storici e alla crisi sanitaria – che, non dimentichiamo, è precedente al Covid – la Federazione tedesca delle città e dei comuni ha spinto le autorità locali ad acquistare gli spazi abbandonati, dotandosi cosi di vasti parchi immobiliari. Strategia che a Neubrandenburg, cittadina nel nord-est della Germania, ha avuto successo grazie alla cooperazione pubblico-privato.
Se le città italiane non hanno, ancora, i problemi che pressano il Nord Europa, anche da noi il disagio di vivere è palpabile nelle categorie più fragili della popolazione. Uomini e donne disoccupati, donne svantaggiate dai divari formali dovuti a pregiudizi e incomprensioni maschili. Crisi demografica. Giovani generazioni, adolescenti e non solo, schiacciate dalla frantumazione delle famiglie ed esposte a rischi mentali, dipendenze di vario tipo, pericoli di coinvolgimento criminale. In poche parole, un disagio di vivere ignorato solo da chi preferisce voltarsi dall’altra parte.
Esistono però anche dei vantaggi. Nel modello di “città dei 15 minuti” l’Italia, soprattutto Bologna e l’Emilia-Romagna, hanno il vantaggio della tradizione delle cooperative e delle attività economiche di quartiere. Se non i fondi del Pnrr, non sarebbe possibile utilizzare una minima parte di quelli previsti per la coesione europea per implementare progetti pilota di “città dei 15 minuti” nel nostro Paese?
Nel 2020 l’idea di Carlos Moreno era parte del programma elettorale di Anne Hidalgo, sindaco, rieletto, della capitale francese. Nella campagna elettorale dello scorso autunno il piano è stato dibattuto a Roma. Il neo sindaco Gualtieri si è detto pronto a valutarlo concretamente. Su questa linea è anche Milano con Giuseppe Sala.
Studiando e sviluppando le esperienze delle altre cittadine europee, l’Italia può rafforzare la volontà di rinnovamento che percorre tutto il nostro continente. Lo scopo come diceva Jungk non deve essere nel denaro per il denaro o nella volontà di potenza pensata come volontà di oppressione di altri popoli. Al contrario si tratta di ridare spazio alla creatività e all’inventiva dei singoli. Attraverso questa strada sarà possibile sprigionare tutta la forza delle energie civili alla base delle istituzioni Ue.
La potenza dello Stato di diritto europeo potrà sopravvivere solo se si intreccerà con la volontà dei propri cittadini di creare e vivere liberamente. Senza dimenticare ovviamente che il tempo dell’ingenuità e delle anime belle è finito e difficilmente tornerà. Potrà invece affermarsi il nuovo tempo dell’Europa, potenza civile cosciente della propria forza e della necessità di agire per fronteggiare il mondo dei nuovi Leviatani.
Photo credits: sterlinglanier Lanier