Dopo due anni di narcolessia sociale, il 25 aprile abbiamo assistito a un momento di riappropriazione identitaria delle strade, che straripavano di persone vogliose di essere insieme. L’insostenibile processo che ha ridotto tutto a una narrazione livorosa. È totalmente scollato dalla realtà il racconto che è uscito fuori dalla bellissima giornata al Pratello
di Andrea Femia, digital strategist cB
Dopo due anni di narcolessia sociale, il 25 aprile abbiamo assistito a un momento di riappropriazione identitaria delle strade, che straripavano di persone vogliose di essere insieme. Essere come dato ontologico; esistere immersi in una società di individui che uniti riescono a coesistere, dopo essere stati per troppo tempo l’uno la minaccia per l’altro. Possiamo ragionevolmente concederci un momento di pietismo autoriferito e dire che non è stato proprio facilissimo essere umani da inizio 2020 in poi.
Uscire – forse – da una pandemia, ci rende possibile mirare questa moderna Guernica a colori, una rappresentazione distorta ma elegantissima delle sofferenze fisiche e psicologiche derivate dall’isolarsi con lo scopo pattuito di non vedersi; non spaventarsi vicendevolmente.
C’è una differenza sostanziale tra l’isolarsi perché lo si desidera, condizione alla quale il sottoscritto spesso si presta pure volentieri, e il farlo perché si è instillato il forte dubbio che un altro individuo potrebbe causarti danno. Così come c’è una forte differenza tra lo sguazzare nella noia del dolce far nulla ozioso e il sentimento di timore per non riuscire a trovare la concentrazione neppure per dormire.
Se per rendere chiaro il vissuto pandemico è opportuno schierare tutti gli esseri umani in un unico luogo dell’anima, è dato evidente che all’interno di questa schiera folle di mammiferi bipedi sono enormi le differenze. In particolare generazionali. Se hai vissuto diverse decine di anni, ci sta che due anni ti spostino poco e passino relativamente in fretta senza stravolgerti la vita. Se ne hai vissuti venti o anche meno, due anni sono un decimo di tutta la tua vita. Un ottavo della vita di cui hai ricordi. Non hai finito lo sviluppo, ogni anno passa lentissimo, il tuo corpo cambia, i desideri cambiano, il tuo pensiero si forma a seconda di ciò che vivi quotidianamente, le tue spalle si caricano di pesi progressivamente maggiori.
È anche per questo che ho trovato totalmente scollato dalla realtà il racconto che è uscito fuori dalla bellissima giornata del 25 aprile al Pratello. L’universo che ci rende nuovamente capaci di guardarci senza timori si scontra con la narrazione di coloro che preferirebbero un mondo in cui ognuno si chiudesse con la propria pallina da tirare verso il muro di casa. Una nutrita schiera di rancorosi, come nella canzone di Capossela, camerati ruvidi e grinzosi.
Dopo aver passato praticamente tutto il giorno lì, il 26 mattina mi sveglio e trovo fuori dall’edicola titoloni che parlano di festa rovinata. Di inciviltà. Di delirio.
Ventiquattro ore di persone felici che si avvicinavano al banchetto per salvare l’edicola di Lino, o a quello di Mediterranea o dell’Anpi o alle decine di tavolini diventati capannelli di umanità; ventenni pronti, pur dubbiosi, a tirar fuori 5€ che, come diceva Paperino in una famosa vignetta, sono niente se qualcuno li ha e sono tutto se uno non li ha.
Questo mentre il popolo della sinistra non è mai stato così spaccato al suo interno, dalle polemiche feroci tra persone che hanno sempre visto il mondo nello stesso modo, oggi morse da dentro sul significato stesso delle parole Resistenza e Pace. Eppure quel giorno era più facile essere tutti lì, spettatori e protagonisti di un’unità sempre più complessa.
Ventiquattro ore così belle, ridotte a una narrazione livorosa da individui pronti ad annusare le tracce di debolezza di chi è umanamente affascinato dalle città rigorosamente silenziose, spente. Morte.
Per evitare che taluni non colgano, non è bello vedere la gente urinare per strada o lasciare sporcizia ovunque.
Va detto che questo è un problema tipico di molti weekend, per cui non direttamente riferibile alla festa, ma resta il problema oggettivo da risolvere.
Rimane il dato socialmente rilevante che potevamo concentrarci sul ritorno dei sorrisi e ci siamo fatti travolgere dalla nebbia fetida della pipì.
Fate voi.
Sia detto con simpatia non rancorosa: allora io il pomeriggio del 25 aprile pensavo di essere in via del Pratello invece mi trovavo altrove.
Bravo Andrea, grazie! Chi ha vissuto il 25 aprile al Pratello sa che era vita, e la vita è fata di sorrisi, canti e abbracci ma anche di sudore e pipì. Chi vive dietro la mascherina non vuole e forse non può capire, autoavvelenato dal proprio livore e forse dalla incrollabile certezza di essere nel giusto
Il Carlino Bo riassume la giornata così: “Gente ubriaca che urinava e vomitava in ogni angolo e vicolo. Gente ubriaca buttata a terra, in mezzo alla strada, sui marciapiedi, addosso alle auto”. Senza scrivere d’altro…
Ho percorso il Pratello mercoledì 27 fermandomi a mangiare in un accogliente bar all’aperto ma non ho percepito immagini di degrado. Probabilmente HERA ha pulito tutto bene come dopo ogni evento in piazza o in piazzola.
Bella analisi Andrea Femia, gli ubriachi per strada non sono certo legati al 25 aprile e via Del Pratello lo sa bene … semmai sono zone che richiamano giovani tra cui si beve un po” troppo
Grazie..
Senza offendere ma gli articoli del Carlino sono orrendi secondo il mio parere e si sa bene dal genere di giornalisti da cui provengono … non certo vicini a me. E inoltre se metti dei titoli sensazionali spacchi e fai proseliti!
Il Carlino…come al solito ,demonizza ogni forma di rappresentazione , che si colora di rosso !! Difficoltà ci sono sempre, quando tante persone si riuniscono in un unico luogo e…il tasso alcolico si alza !! Martedì mattina , tutto è tornato a posto e pulito ,grazie all’Hera .