Il sentimento mistico che lega Mihajlovic e i suoi giocatori è una delle storie di sport e umanità più belle che la Serie A abbia saputo raccontare negli ultimi anni. L’allenatore è tornato a casa dopo più di un mese e gli dedichiamo un pensiero sulla reazione della sua squadra
di Andrea Femia, digital strategist cB
Qualche anno fa Massimo Recalcati pubblicò un libro intitolato Il complesso di Telemaco, nel quale veniva messo in risalto un tipo di rapporto padre-figlio che prende spunto dall’omerico legame tra Ulisse e il suo erede. In particolare la speranza di quest’ultimo, moralmente stordito dal dominio dei Proci, che il ritorno del padre potesse riportare in lui e in Itaca la serenità.
Quello che sta avvenendo al Bologna Fc sembra far vivere alla città una nuova edizione, ancora più clamorosa, di quello che fu il primo break al quale fu costretto Mihajlovic. Lo sanno pure i sassi, l’allenatore del Bologna ha dovuto prendere una pausa perché alcune malattie hanno la capacità intrinseca di essere più stronze di altre.
La squadra aveva vissuto degli alti incredibili durante la stagione. In particolare dopo il cambio di modulo, avvenuto in una sfida casalinga contro la Lazio, terminata con un roboante 3 a 0. Ero allo stadio durante quella partita, e si era immediatamente capito che il ruolo di Gary Medel avrebbe reso impossibile agli avversari trovare un modo di creare la superiorità numerica nella metà campo bolognese.
Medel in Cile è qualcosa di simile a un eroe nazionale. È alto 171 cm e il suo collo è grande quanto un appartamento, e questo lo rende più simile a un peso medio pronto a sfidare Canelo Alvarez piuttosto che a un difensore centrale capace di non far toccare la palla alle punte avversarie. Eppure, siccome la vita ci pone davanti a misteri complessi da gestire, quella sua figura rivoluzionaria nel suo essere antica ha donato stabilità a un Bologna che non brillava per gioco ma per solidità.
Quegli alti sono durati un po’, ma può capitare che un nuovo assetto generi sorpresa in chi ti aveva studiato diverso. A un certo punto però la magia si è interrotta. La solidità ha lasciato spazio ai difetti di costruzione. Sembrava che un turbinio di mediocrità, quello che investe spesso le squadre che raggiungono presto l’obiettivo della serenità, avesse travolto la stagione rossoblu. Quando la serenità è venuta a mancare, tutto è cambiato.
Era lecito immaginarsi che i giocatori si presentassero già abbronzati sul finire di aprile. Il terremoto Sinisa, però, ha ribaltato le carte con tutta la tavola. Per lui, per la squadra, per la società e per i tifosi.
Il rapporto tra allenatore e BFC sembrava arrivato al capolinea, quando si parlava di futuro non sembrava ci fossero spazi per pensarlo in comune. Obiettivamente era inimmaginabile quello che sarebbe successo dopo la nuova pausa forzosa di Mihajlovic: il Bologna ha iniziato a macinare risultati positivissimi, ma la cosa che lascia davvero spiazzati è il ritorno a quella solidità che sembrava svanita, sacrificata sull’altare dell’abitudine e della tranquillità.
Telemaco è evidente in ognuno dei singoli componenti della rosa, ragazzi straordinariamente legati al loro mister, che non mancano di parlarne con quel velo di ironica, romantica tenerezza che generalmente si dedica alle persone amate che stanno attraversando un personale inferno.
In campo, il simbolo di questa voglia di essere all’altezza dei consigli del proprio padre, è senza dubbio Marko Arnautovic.
La sua disponibilità al sacrificio è stata evidente durante tutta la stagione. Chiunque sia stato allo stadio lo ha visto impegnato a massaggiarsi costantemente il flessore, con il quale ha combattuto sin dal primo giorno. Le sue qualità tecniche a volte sembrano sproporzionate rispetto a un contesto così disciplinato e didascalico come quello rossoblu. Un gigante di 192cm capace di superare l’uomo con un elastico lascia straniti, vederlo in forma è uno spettacolo. Vederlo in missione per il suo mister è un’esperienza che ha poco a che fare con quello a cui siamo abituati quando parliamo di calcio.
Una cosa è certa: il sentimento mistico che lega Sinisa Mihajlovic e i suoi giocatori è una delle storie di sport più belle che la Serie A abbia saputo raccontare negli ultimi anni.
bello!