Dove vai, Emilia-Romagna?

La regione ha un’economia che, rispetto al resto del Paese, produce più reddito e dà lavoro a più persone. Se non vorrà vedere il reddito totale e pro-capite diminuire dovrà agire in tre direzioni: aumentare il tasso di partecipazione al lavoro, per esempio quella femminile; accrescere la produttività (ma i trend non sono promettenti); attirare manodopera, dall’Italia e dall’estero. Tre direzioni sulle quali i decisori pubblici possono fare molto, perché la demografia non è un destino

di Pier Giorgio Ardeni, economista dello sviluppo


Cantiere Bologna ha ospitato un interessante contributo di Gianluigi Bovini (“Nel 2050 in regione avremo 300 anziani ogni 100 under 14”) sulle dinamiche demografiche per l’Emilia-Romagna e le sue province che risultano dalle previsioni Istat pubblicate il 21 novembre scorso. I risultati originali di Bovini – frutto di uno studio elaborato con Franco Chiarini – meritano attenzione, perché evidenziano quanto possa essere importante l’assetto demografico per le politiche pubbliche e perché possono fornire un’indicazione sull’andamento dell’occupazione. Il quale, come sappiamo, è strettamente intrecciato con quello del prodotto e del reddito. 

Il prodotto interno lordo (Pil) della regione, in termini reali (cioè, a prezzi costanti del 2015), è passato, dal 1995 al 2019, da 124 a 157,3 miliardi di euro. Tuttavia, esso era già 142,3 miliardi nel 2000, quasi lo stesso valore che ha poi registrato nel 2020, con la caduta dovuta alla pandemia. La sua quota sul Pil nazionale è salita dall’8,3% del 1995 al 9,1% del 2020, il che significa che, nel tempo, è aumentato più di quello dell’intero Paese.

Tale prodotto è sempre stato dovuto a un alto tasso di occupazione, maggiore che nel resto d’Italia. La regione, infatti, registra un tasso di partecipazione (la quota di “attivi” sulla popolazione con 15 anni e più di età) più alto – il 54-55% contro il 48-50% del Paese – e anche una quota di occupati maggiore. Il tasso di occupazione, che in Emilia-Romagna era il 96,5% nel 2000, è rimasto sempre molto alto, scendendo a un minimo nel 2013 (91,7%) per risalire poi fino al 94,6% del 2021. In Italia ha avuto lo stesso andamento, pur partendo da un valore del 90% nel 2000, scendendo all’87,3% del 2014 per poi portarsi al 90,5% del 2021. Ciò si è riflesso in un andamento speculare del tasso di disoccupazione che è passato, in regione, dal 3,5% del 2000 al massimo dell’8,4% del 2013 (dopo essere sceso al minimo del 2,8% del 2007) per calare fino al 5,4% del 2021. In Italia, al contrario, esso è salito dal 10% del 2000 al massimo del 12,7% del 2014 (dopo il minimo del 6,1% del 2007) per stabilirsi al 9,5% del 2021. 

Ora, questi dati confermano che l’Emilia-Romagna ha un’economia che, relativamente al resto d’Italia, produce più reddito e dà lavoro a più persone. Lo stesso Pil pro-capite, che può ritenersi un indicatore relativo del “tenore di vita”, è sempre stato tra il 20 e il 23% più alto che quello italiano (con un solo calo al 18,8% del 2009, quando la crisi si fece sentire qui più che nel resto del Paese). Nel 2019, il Pil per abitante della nostra regione – pari a € 35.258 – è stato poco inferiore a quello francese (€ 36.050) e appena superiore alla media dei paesi dell’area euro (€ 35.010).

È la nostra forza lavoro, il nostro apparato produttivo a contribuire alla produzione di quella ricchezza. Una forza lavoro che – a fronte di una popolazione in età lavorativa che è passata da 3.470.550 persone del 1995 a 3.844.000 del 2021 – è salita nello stesso periodo da 1.883.000 a 2.092.000 unità (ma erano 2.144.000 nel 2019). Gli occupati di età compresa tra i 15 e i 64 anni, in regione, sono oggi 1.904.000, secondo gli ultimi dati Istat (erano 57mila in più nel 2019).

Ora, per capire le dinamiche di occupazione e reddito prodotto, va anche considerato quanto dell’aumento di quest’ultimo è stato frutto della maggiore occupazione e quanto dell’aumento della produttività. Nel periodo 2000-2008, il prodotto regionale è aumentato in termini reali del 9,3%, a fronte di un aumento degli occupati del 7,3%, conseguenza di uno striminzito aumento della produttività del lavoro del 2,1%. Tra il 2009 e il 2019, ultimo anno di “crescita”, il prodotto è aumentato dell’8,4% (ma il 2009 era stato anno di crisi), mentre l’occupazione è salita appena del 5,5%, con un aumento della produttività del 2,9%.

Se si vuole che da qui al 2030 questi trend recenti vengano quanto meno confermati, il prodotto dovrà quindi portarsi ad un livello pari a € 170.488 che, con pari produttività, dovrà impiegare 2.125.213 lavoratori. A partire dalle previsioni di Bovini e Chiarini, basate sui parametri Istat e sulle loro valutazioni sulle variazioni numeriche delle classi di età, si può prevedere un numero di occupati al 2030 pari a 1.940.048, il che vuol dire che per mantenere i suoi livelli di reddito attuali la regione manca di più di 185mila lavoratori (il 6.8% della forza lavoro prevista).

Se l’Emilia-Romagna non vorrà vedere il suo reddito totale e pro-capite diminuire, quindi, dovrà agire in tre direzioni: aumentare il tasso di partecipazione al lavoro (favorendo, per esempio, l’occupazione femminile); far aumentare la produttività (ma, su questo, i trend decennali non sono molto promettenti); attirare manodopera, facendo aumentare l’immigrazione dall’Italia e dall’estero.

Tre direzioni, come si può intuire, sulle quali i decisori pubblici possono fare molto, perché «la demografia non è un destino».


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