Una “palla a spicchi” per l’integrazione

Un’associazione e una palla da basket, in onore di Graziella Fava, vittima di un attentato alla sede del sindacato dei giornalisti nel 1979: il riscatto del nome, le emozioni presenti nel suo ricordo, non solo per riscoprire chi fosse questa donna, ma per dare più valore al luogo che ci regala quotidianamente la gioia di giocare insieme. Trasformando il giardino che porta il nome di Graziella in un luogo di cura e benessere per tutti, di tutela della vita di quartiere, e di posizionamento contro discriminazione e violenza attraverso lo sport, l’arte e la cultura

di Associazione Regaz del Fava


Galeotta fu la palla a spicchi a Basket city. Uno sguardo consapevole e tanti progetti per i Regaz dei Fava, associazione di promozione sociale nata con l’obiettivo di tutelare la comunità di giovani che frequentano assiduamente l’area verde del Giardino “Graziella Fava” e il playground di pallacanestro che funge da ambiente sicuro per coloro che attraversano questo spazio, incastonato tra la stazione, via Milazzo e Via Cairoli.

Un gruppo che ha in mente di dimostrare che la narrazione esterna su questo luogo spesso non racconta che cosa succede davvero. Chi frequenta il playground da tanti anni potrà infatti chiaramente ricordare come ci fosse una netta divisione tra una metà campo e l’altra: ci si parlava poco, non si riusciva a mettere insieme delle belle energie. Nel primo pomeriggio, anche sotto il sole cocente di luglio, il campo si popolava di due comunità ben distinte: i ragazzi filippini che puntualmente si accaparravano la metà campo meno calda e i ragazzi italiani che si accontentavano dell’altro lato.

Questa divisione interna sul campo da basket, che a riflettere poteva rispecchiare una divisione di interessi fuori dal basket (perché mai nessuno tra filippini e italiani si sarebbe sognato di frequentarsi fuori da un rettangolo di gioco), è svanita in favore di una commistione di accenti, slang, soprannomi filippini e italiani rigorosamente storpiati, a botta di trash talking e un po’ di sana competizione. Fino ad un punto in cui non si riusciva più a separare il soluto dal solvente, se mai riuscissimo a definire l’uno e l’altro in questa esperienza.

E allora, questo collante sociale che è lo sport ha gradualmente richiamato culture e fonemi diversi, gente da ogni angolo della sfera terrestre devota in primis al Dio Basket, creando un ambiente variopinto e singolare.

Ci sono stati tanti incoraggiamenti e supporto per arrivare alla nascita dell’associazione. Il Quartiere, gli educatori, le associazioni. E anche una lente fotografica esterna per valorizzare questa salad bowl dei Giardini Fava.

Il nostro amico nonché baller Fx Rougeout, fotografo freelance, ha avuto la fantastica idea di proporre una mostra fotografica en plain air sul mondo Fava, a cui è seguito a ruota il progetto di riqualificazione del campetto in collaborazione con RedBull Italia, Not in my House, e la tappa realizzata proprio sul nostro playground, che da quel momento riporta la scritta BASKET CITY e sullo sfondo un Nettuno fiero a tema cestistico portato in vita dagli amici di Truly Design Studio.

Non si può trascurare nel racconto anche la realizzazione di una serie di pannelli (opera di Filippo Mozzoner e Andrea Gianfanti) che raccontano la vita di quartiere e di città dei giovani che frequentano il campetto, così come il torneo settembrino con l’associazione Dry-Art che si è rivelato una vera e propria festa.

Ultimo in ordine cronologico, sempre con il prezioso contributo di Dry-Art, la presentazione della nostra associazione di promozione sociale Regaz Dei Fava con una mostra fotografica ad hoc in collaborazione con gli artisti Davide Blotta ed Edoardo Sarzana, presso il Das (Dispositivo Arti Sperimentali).

Perché questo nome? I Regaz prendono il nome da Graziella Fava, donna vittima di un attentato del 1979 rivolto alla sede del sindacato dei giornalisti. La storia di Graziella è familiare a molte persone che frequentano lo spazio: dalle donne, spesso migranti, che svolgono lavoro domestico, ai giovani stranieri che vengono al campetto per giocare a basket.

Da questa consapevolezza è nato il nostro impegno: il riscatto del nome, le emozioni presenti nel suo ricordo, non solo per riscoprire chi fosse questa donna, ma per dare più valore al luogo che ci regala quotidianamente la gioia di giocare insieme.

Spesso frequentiamo questi luoghi senza interrogarci sull’origine del nome: si finisce per dare per scontato il significato delle parole, in maniera distratta. La proliferazione del degrado dei luoghi pubblici inizia con la dimenticanza, la scomparsa dei volti che li hanno vissuti, fino a consumarne il valore collettivo poco alla volta, e infine a giungere alla totale perdita della memoria storica e dei ricordi connessi a questi posti.

Siamo consapevoli del valore sociale del nostro presidio, e anche della sua natura politica – come luogo dove certi valori quali rispetto degli altri e amore per il gioco sono accettati, promossi e radicati. Ci teniamo soprattutto di più a vedere la trasformazione dei giardini Fava in un luogo di cura e benessere per tutti, di tutela della vita di quartiere, e di posizionamento contro discriminazione e violenza attraverso lo sport, l’arte e la cultura.

Photo credits: Edoardo Sarzana


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