Nella settimana che conduce al 2 agosto, una riflessione sulla memoria come valore collettivo. Una Nazione che non sia in grado di conservare e rendere disponibili le sue memorie e la sua storia mina quel virtuoso rapporto che lega, o dovrebbe farlo, cittadini, polis e quindi politica
di Cinzia Venturoli, storica
Memoria, conoscenza storica, verità, giustizia: un quadrinomio fondamentale per la democrazia, la cittadinanza e la partecipazione.
La deprivazione della memoria del passato, l’appiattimento su un presente destoricizzato e il corto circuito tra memorie (personale, collettiva, sociale) portano a non sentirsi parte di un processo collettivo. Avere memoria vuol dire assumersi la responsabilità della propria vita e della storia, ancor di più in caso di stragi, di guerre, di eventi traumatici. Solo in un dialogo fattivo fra storia e memoria, possiamo crescere come cittadini attivi e consapevoli.
Una Nazione che non sia in grado di conservare e rendere disponibili le sue memorie e la sua storia è una entità che non può e non sa porsi di fronte al proprio presente e al proprio futuro né può essere inclusiva, né è in grado di fare fronte ad un mondo globalizzato, perde quindi gli strumenti necessari per rapportarsi in modo realmente propositivo con i cittadini in quel virtuoso rapporto che lega, o dovrebbe farlo, cittadini, polis e quindi politica
Ricordare e trasmettere la memoria, e la conoscenza storica, di eventi come le stragi è stato un impegno complesso che diventa sempre più difficile al passare degli anni: è indubbio che in questo ambito un ruolo essenziale sia stato quello giocato dalle Associazioni dei familiari delle vittime, impegnate a costruire una vera e propria «cultura» della memoria, stimolando e creando una rete di eventi e di avvenimenti che, assieme e oltre all’anniversario e alle cerimonie di commemorazione, hanno tenuto viva memoria e attenzione. Le persone colpite da eventi traumatici sono divenute “testimonianza” e hanno saputo “trasformare il dolore da grido di guerra in azione politica” (come scrive Judith Butler) ricordando alla comunità la necessità di giustizia, di verità e mostrando la ferma volontà di contrastare ogni violenza.
Strettamente legati alla memoria vi sono quindi verità e giustizia come è dimostrato anche dalle recenti vicende processuali in cui, dopo molti, forse troppi, anni si continua a cercare di fornire un quadro sempre più preciso sui responsabili degli eventi tragici e traumatici della nostra storia contemporanea. Se fosse sceso l’oblio, se non si fosse conservata la memoria, se Associazioni dei familiari delle vittime, cittadini e cittadine, non avessero incessantemente chiesto verità e giustizia molto probabilmente anche le vicende giudiziarie si sarebbero svolte diversamente.
Conoscere la verità, storica e giudiziaria, è un diritto fondamentale per le vittime e per la società tutta, sapere la verità su fatti determinanti, e traumatici, del passato è un elemento essenziale per l’identità collettiva di un popolo, ha una funzione di stabilità sociale e benessere individuale.
Il diritto alla verità unifica diverse necessità, fra cui quella di ricevere informazioni corrette, di non essere ingannati, di avere istituzioni che favoriscano e tutelino le conoscenze collettive, di avere un riconoscimento pubblico per le verità acquisite.
Il diritto alla verità è, infine, ascrivibile ai diritti umani inalienabili.
Il quadrinomio memoria, conoscenza storica, verità, giustizia può, e forse deve, quindi, divenire nodo di una trama di cittadinanza attiva su cui tessere iniziative, approfondimenti, comunicazioni inclusive, lavoro collettivo di crescita democratica.


Grazie, molto interessante. L’ho rilanciato!