Dal 1995, l’Associazione dei familiari delle vittime della Uno Bianca ha mantenuto viva l’attenzione pubblica sulle efferate azioni criminali compiute dai fratelli Savi e dai loro soci tra il 1987 e il 1994. Una vicenda che ha avuto una conclusione giudiziaria con la condanna definitiva degli imputati ma che lascia ancora il dubbio, tra chi ha perso i suoi cari, sulle ragioni che spinsero a tanta violenza
di Rosanna Zecchi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della Uno Bianca
L’Associazione dei familiari delle vittime della Uno Bianca riunisce i familiari delle vittime della cosiddetta “Banda della Uno Bianca”. Fu costituita il 23 marzo 1995, dopo l’arresto dei fratelli Savi e dei loro complici.
Tra il 1987 e il 1994, la banda seminò il terrore tra Emilia-Romagna e Marche, rendendosi responsabile di un centinaio di azioni delittuose che causarono la morte di ventiquattro persone e il ferimento di altre centodue. A destare ancora più sdegno fu la notizia che, ad eccezione di Fabio Savi, tutti gli affiliati della banda erano membri della Polizia di Stato.
Trattandosi nella maggioranza dei casi di rapine, gli inquirenti individuarono subito un movente di natura economica. Un movente confermato anche in sede processuale, che ci ha tuttavia sempre lasciati perplessi, vista l’evidente sproporzione tra la ricchezza accumulata e la violenza inaudita utilizzata per raggiungerla.
L’Associazione nacque dunque non soltanto con lo scopo di avere giustizia per le vittime ma anche per cercare la verità e tramandare la memoria di una vicenda assolutamente anomala. Oltre a seguire i vari processi susseguitisi negli anni, ha creato un archivio (oggi digitalizzato grazie al sostegno della Regione) dell’intero iter processuale, delle relazioni Gualtieri, Serra e Di Pietro presso la Commissione Stragi del Parlamento e delle inchieste giornalistiche e pubblicazioni prodotte sulla vicenda. Ogni 13 ottobre, data comune del ricordo di tutte le vittime della banda, è sempre un momento di riflessione e condivisione con la città di Bologna. Soprattutto con i suoi cittadini più giovani.
Per tutto questo abbiamo deciso di aderire a Il Futuro della Memoria: raccontare ai cittadini la nostra storia e le nostre sofferenze, con la speranza che possano capire e aiutarci a coltivare il ricordo di questi crimini efferati di cui ancora oggi, nonostante le sentenze, non riusciamo a comprendere il perché. Un perché che può emergere anche dal dialogo e dal confronto. Questa è la nostra profonda convinzione.

