Alcune idee all’indomani della nomina del nuovo direttore della logistica etica
di Fabrizio Sarti, sindaco di Bentivoglio dal 1990 al 2004
Chiedo cortesemente ospitalità per commentare l’intervista del nuovo Direttore della Logistica Etica all’Interporto di Bologna a presentazione della sua nomina, comparsa nelle cronache locali dei giornali cittadini ad inizio agosto.
La nomina del “direttore della logistica etica” va sottolineata positivamente sia perché testimonia di una rinnovata attenzione delle istituzioni cittadine verso le strategie di questa società pubblica, sia perché l’aggettivazione (etica) pare porre l’accento sui temi della sostenibilità ambientale, territoriale, sociali con in primis le condizioni dei lavoratori meno specializzati.
Molti dei progetti indicati (la casa della salute, l’asilo nido, la scuola di formazione permanente sulla sicurezza, il protocollo di sito tra imprese e sindacati sulle condizioni dei lavoratori) si muovono in questa direzione e ne rappresentano una sfida tanto impegnativa quanto innovativa, per diversi ordini di ragioni.
La logistica continua in un processo di crescita (nell’articolo riferendosi all’Interporto si parla di +2,2% di transiti su camion, +1,7 dei treni, +5,7 di carri ferroviari) legato al potenziamento o alla riorganizzazione delle catene di approvvigionamento globali, molto frammentate, a cui corrispondono catene di valore dove il “valore” estratto, nelle lavorazioni più povere avviene attraverso una corsa al ribasso del costo del lavoro. Se cresce la vendita di beni, crescono le necessità di logistica che bisognerebbe tendere a “disaccoppiare” (crescita Pil e crescita logistica) con investimenti che aumentino l’efficienza dei processi. In quest’ambito, tenuto conto che parte del valore prodotto arriva anche da investimenti pubblici, si possono ricavare gli spazi per remunerare adeguatamente, nel salario e nelle condizioni generali, il lavoro, anche supportati da una legislazione nazionale regolatoria che manca (salario minimo, rappresentanze sindacali, ecc.).
L’interporto di per sé, con la concentrazione di imprese e con la presenza del terminal ferroviario, si muove nella direzione della sostenibilità, come indicato dal Puls (Piano Urbano della Logistica Sostenibile), riducendo come impatto su area vasta il cosiddetto sprawl logistico, quindi con minori emissioni, minori km percorsi, più quota ferro. Nella sua localizzazione territoriale produce anche evidenti esternalità negative con l’intasamento delle viabilità non ammodernate e le ricadute di inquinamento che in ogni caso sopportano. Pertanto appare chiaro che nuove prospettive (i nuovi 700mila mq) di crescita in una area che ha già queste pressioni ambientali, ben difficilmente potranno andare in porto se i tanti progetti di adeguamento della viabilità (e non tutti della qualità necessaria) non verranno realizzati.
Non solo. La lunghezza lineare dell’Interporto di circa 3 km che si sviluppa a fianco della ferrovia, tra le due stazioni di Funo e San Giorgio (che distano circa 6 km l’una dall’altra) meriterebbe, in un ottica della città accessibile in 15 minuti, due fermate di Sfm in corrispondenza anche dei nuclei urbani e delle aree industriali dei comuni confinanti, in maniera tale da poter servire con il ferro un bacino di 10mila persone, incentivabili a rinunciare al mezzo di trasporto privato.
Infine mi chiedo se l’approccio urbanistico della “cittadella“ sia la logica migliore per governare l’insieme delle esigenze dei servizi interportuali e soprattutto gli impatti sul territorio. Forse sarebbe meglio ragionare in termini di integrazione con il territorio, con la possibilità di valutare opere e servizi verso l’insieme delle necessità del territorio e usare quegli interventi per ricucire fratture, ridurre le esternalità e migliorare il benessere dell’insieme delle comunità presenti.
Molto interessante