Caro candidato, ti scrivo…

La delusione degli elettori davanti alle candidature per il Parlamento è forte. Le liste bloccate e le manovre politiche depotenziano di fatto il voto. Il 25 settembre si tratterà di scegliere tra un partito e la Società degli apoti. Ma anche tra l’attuazione della Carta costituzionale o il suo travisamento presidenzialista. Dieci domande agli aspiranti parlamentari per sapere chi sono e cosa vogliono realmente. Con uno sguardo particolare a Bologna

di Achille Scalabrin, giornalista


Molto. È molto fastidioso sapere che non saranno gli elettori a scegliere i futuri 600 parlamentari, poiché la decisione è già stata presa quasi totalmente dai partiti attraverso le liste bloccate. E non sono meno fastidiose le critiche che i partiti muovono alla legge elettorale attuale indicandola quale responsabile di tale vulnus, come se ad approvarla non fossero stati Pd, Lega, Forza Italia, con tutti gli altri partiti ben attenti poi a non cambiarla.

Con questo duplice fastidio bisognerà fare i conti da qui al 25 settembre, quando gli italiani dovranno decidere se esprimere in ogni caso a favore di una lista il loro voto depotenziato o se aderire alla Società degli apoti, di cui parlava Giuseppe Prezzolini nel 1922, composta da coloro che non se la bevono. La lettera di Prezzolini a Piero Gobetti, pubblicata su Rivoluzione liberale prima della marcia su Roma, fu tacciata di qualunquismo, quando in realtà era un invito a ragionare con la propria testa, sottraendosi ai diktat di partito o di fazione. Era un invito a non abbandonare «tutte quelle cautele dello spirito, quelle abitudini di pulizia e di elevazione, quelle regole di onestà intellettuale che la generale grossolanità, violenza e malafede rendono più che mai necessario mantenere».

Scorrendo le liste dei candidati, a destra come a sinistra e al centro, è difficile scrollarsi di dosso quella sensazione – fatte le dovute eccezioni – di offerta confusa e insufficiente imbastita con paracadutati, intoccabili, impresentabili, con ex amministratori in cerca di nuove sistemazioni, parlamentari a vita, fedelissimi della prima o dell’ultima ora, funzionari di partito da collocare, parenti più o meno vicini, amici da riesumare. Era così già ai tempi della Prima Repubblica, si dirà, ed è vero. Ma a fronte di una riduzione drastica dei seggi, era legittimo attendersi da parte dei vertici dei partiti una selezione di altro segno proprio per evitare che risaltasse e prevalesse ancora di più la mediocrità di una classe politica con cui il Paese fa i conti da decenni. E a fronte di una crisi epocale che ruota attorno a guerre, epidemie, collasso ambientale ed economico era giusto pretendere candidati parlamentari all’altezza della difficilissima situazione. A questa pretesa, la classe politica sembra aver risposto con magheggi volti a tutelare se stessa e i propri meccanismi di potere.

Si potrebbe qui aprire il capitolo attuazione dell’art. 49 della Costituzione e della conseguente regolamentazione legislativa dei partiti e della loro democrazia interna, ma ben sapendo che i partiti stessi sono schierati a testuggine romana in difesa dello status quo, preferendo intrattenere gli elettori con la pericolosa alterazione della Carta costituzionale che comporterebbe il presidenzialismo. Fino a che punto può spingersi una legge di regolamentazione dei partiti, è un quesito che comporta serie e complesse riflessioni. Ma non meno serie e complesse di quelle necessarie per capire fino a che punto può spingersi il protrarsi di questa infelice ambiguità che consente ai partiti di disporre a loro piacimento della democrazia interna, mettendo così a repentaglio anche la tenuta di quella esterna. Come è ben testimoniato dall’astensionismo.

Alla scelta non certificata né garantita delle candidature, a questa scelta ‘imposta’, che oltre tutto annacqua o scioglie qualsiasi rapporto diretto tra eletto e elettori del proprio collegio, si potrebbe in minima parte rimediare se i candidati rispondessero nelle prossime settimane ad alcune semplici domande:

1 – Perché si è candidato al Parlamento?

2 – Quali sono i meriti, nelle sue attività precedenti, che hanno indotto il suo partito a candidarla?

3 – Se ha una precedente attività parlamentare, quali sono i vantaggi assicurati al suo collegio?

4 – Si impegna, se eletto, a non cambiare nel corso della legislatura partito o gruppo parlamentare?

5 – Qual è il suo reddito attuale?

6 – Si impegna, se eletto, a devolvere il 3 per cento degli emolumenti parlamentari (tra i 13,900 e i 14,600 euro mensili) a enti o associazioni che tutelano le fasce sociali meno abbienti?

7 – Si impegna a rendere conto periodicamente agli elettori della sua attività parlamentare?

8 – Quali sono le priorità riguardanti il suo collegio e per le quali intende impegnarsi?

9 – La tutela della Costituzione è una sua priorità?

10 – L’attuazione dell’art. 49 della Costituzione rientrerà tra i suoi impegni parlamentari?

La Società degli apoti attende risposte credibili.

Photo credits: Massimo Percossi/Ansa.it


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