“Next generation classrooms”: la scuola alla prova del Pnrr

La sfida è rilevante, per alcuni versi molto affascinante: non sarà semplice usare tutti i fondi, sfruttarli al meglio, incastrarli nella complessità della costruzione e della ricostruzione che nei prossimi mesi comincerà a investire le nostre città

di Cristian Tracà, docente


A quasi una settimana dalla prima campanella la Scuola lavora alla ripartenza con qualche ansia in meno rispetto ai terribili anni dell’emergenza. Sembra esserci qualche preoccupazione in meno sui volti dei Dirigenti e dei Collaboratori, anche se questo non vuol dire necessariamente che tutto procede a gonfie vele. 

Rimangono alcuni problemi abbastanza importanti: gli organici sono stringati, le classi “pollaio” e il precariato non calano, l’edilizia scolastica fatica. In questo incastro non tutti i riorientamenti riescono ad arrivare in porto e non sono pochi gli studenti che rimangono disorientati e bloccati: gli indirizzi di studio più richiesti spesso non hanno sufficienti risorse per accogliere tutti. 

Qualche buona notizia c’è. Stando ai bollettini degli Uffici Scolastici e girando per qualche corridoio scolastico, quasi con commozione possiamo affermare che la Scuola, o almeno gran parte di essa, si può avviare con gli organici completi: una copertura di consistenza numerica che forse non si ricorda a memoria d’uomo. Sin da subito si può procedere a orari completi. Il combinato disposto tra digitalizzazione delle graduatorie e soprattutto l’anticipo dei tempi di assegnazioni e trasferimenti ha risolto un problema decennale. Va riconosciuto il merito. 

Il focus più grande però sembra giocarsi sulle dotazioni legate al Pnrr. L’intenzione di viale Trastevere sembra chiara: fare economia di scala sui numeri per investire sull’innovazione degli ambienti. Dove non arriva l’empatia umana, ci sarà la tecnologia. Non servono grandi interpreti per decifrare la direzione. Abbiamo letto infatti vari casi di classe accorpate anche nella nostra città, con varie rimostranze delle famiglie e dei docenti.

Una pioggia di fondi infatti sta potenzialmente per planare sulle scuole bolognesi. Il Ministero ha deciso di investire in due grandi direzioni: creazione di ambienti di apprendimento innovativi e contrasto alla dispersione scolastica. Sommando i vari bandi, potremmo arrivare anche a budget vicini ai 500mila euro per le scuole più grandi e più difficili della nostra città metropolitana. Mica roba da ridere. 

Bianchi lo ha definito il più grande intervento trasformativo del sistema d’istruzione. Solo per l’ Emilia-Romagna 85.254.104,84 euro per Next generation classrooms, le classi innovative, e 26.288.824,56 euro per Next generation labs, gli spazi per le professioni digitali del futuro. Potranno essere così trasformate, secondo i calcoli ministeriali, circa metà delle aule degli istituti italiani e ogni Scuola Secondaria di Secondo Grado potrà investire nella creazione di laboratori di robotica o legati all’intelligenza artificiale. 

Altri 30,89 milioni arriveranno a 215 scuole dell’Emilia-Romagna, selezionate secondo criteri di fragilità degli apprendimenti e rischio dispersione, per migliorare i risultati negli apprendimenti tramite una programmazione di attività pluriennali.

La sfida è rilevante, per alcuni versi molto affascinante: non sarà semplice usarli tutti, sfruttarli al meglio, incastrarli nella complessità della costruzione e della ricostruzione che nei prossimi mesi comincerà a investire le nostre città tra materie prime che lievitano nei costi, aziende in difficoltà nel garantire un’offerta adeguata alla sfida, uffici e tecnici che sono troppo sottodimensionati per lavorare con cifre di questo tipo. 

Per non dire dell’annoso problema dei professionisti molto specializzati in ambito tecnico e tecnologico (che quei laboratori dovrebbero progettarli e animarli) che non accedono o entrano solo in parte nel mondo della Scuola a causa dei salari troppo bassi. Si sta scavando un solco tra istituti tecnici e istituti tecnici superiori che rischia di svilire troppo i gradi inferiori di istruzione. 

C’è chi teme una grande dispersione di risorse, c’è chi liquida questa operazione come l’ennesima cura sbagliata per la scuola pubblica italiana, richiamando il Ministero a un ragionamento sul taglio del numero degli alunni per classe e sulla retribuzione dei docenti, a cui viene chiesto sempre di più senza un equivalente riconoscimento professionale dell’upgrade.

I punti interrogativi sono tanti ma è un treno che probabilmente passa una sola volta: bisogna accompagnare questa fase con un pensiero ecologico e pedagogico forte (senza tentazioni di distruzione totale del patrimonio educativo e didattico tradizionale) che lavori sulla costruzione di comunità culturali che sappiano progettare luoghi accoglienti di riflessione, inclusione, formazione.


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