Se la domenica fa freddo. Di Belinelli, PalaDozza e altro

Forse l’ultimo match della Virtus contro Brindisi non è stato sufficiente per cambiare le gerarchie di coach Scariolo. Di sicuro è stato bello

di Andrea Femia, consulente digitale cB


Non è molto semplice abituarsi all’idea che hai tutto a disposizione di pochi minuti, vivendo in questa città. I tragitti sono brevi, anche se vivi fuori porta puoi fartela a piedi quasi sempre e ci sono quelle volte in cui devi solo scrollarti un po’ di torpore dalle spalle e decidere che, anche se fa freddo, meno di mezz’ora a piedi per vedere la squadra che sta dominando il campionato italiano di basket è una benedizione che è giusto non mancare. È difficile ma non impossibile abituarsi, è sicuramente straordinariamente comodo.

Così come è comodo vivere Basket City senza avere l’angoscia di dove supportare una tra Virtus e Fortitudo. Comprendo perfettamente che sarebbe più bello essere parte integrante della rivalità, ma sono nato e cresciuto in Calabria, ho vissuto più di dieci anni a Napoli, potete scegliere di non prendermi come ignavo per il solo fatto di godere di entrambe, senza – per forza di cose – godere davvero di nessuna delle due.

Da amante delle sfighe, e da quotidiano fautore, una parte di me propende per la Fortitudo. Ma senza alcun tipo di asfissia né legame, né fatalismo. È un vile destino, non comprendo se è più ampia la magia o più forte il senso di inadeguatezza, ma non è forse questo contrasto tra forze opposte che regola il mondo?

C’è soltanto il fatto che il basket è uno sport bellissimo, difficile da non amare. Faceva freddo, sì, ma nel PalaDozza c’era una temperatura di cui Putin sarebbe stato fiero.

Si affrontavano Virtus e Brindisi, e anche lì, io lo capisco che sia bello vedere una squadra di campioni come le V nere, ma come si può non empatizzare con una squadra che prende 30 punti al suono dell’ultima sirena? Brindisi non ha praticamente mai avuto l’onore di entrare in partita, e se è vero che la squadra di Scariolo è composta da atleti capaci di vincere le partite – quasi – da soli, è anche vero che ho avuto l’enorme fortuna di assistere a una partita stravolta e dominata da un individuo che, se sei appassionato di basket e sei italiano non puoi non amare (a meno che non tifi Fortitudo, ma lì è un altro discorso, ovviamente, con quella promessa di tornare alla F non esattamente mantenuta).

Sto parlando di Marco Belinelli. Il cestista italiano più vincente della storia (non ho neppure controllato, mi basta l’anello NBA con San Antonio).

Voglio bene a Belinelli, in modo sincero. Ovviamente lui non sa chi io sia, ma ogni volta che parla, ogni volta che gioca, ogni volta che c’è traccia di lui, so già che è una situazione nella quale tendenzialmente si gode. Credo che dipenda più dal suo stint ai Chicago Bulls, squadra alla quale banalmente sono affezionato – come i ¾ del pianeta, alla faccia di Davide e Golia – piuttosto che al suo pur incredibile periodo sotto la guida di Popovich. Nella sfida di domenica, dal momento in cui è uscito dalla panchina i giocatori di Brindisi non ci hanno capito praticamente nulla. Il play tiene palla, chiama un gioco, scarico da dentro a fuori, palla a Beli, tripla. Tre volte di fila. E poi una quarta, da casa sua, più o meno.

Aneddoto irrilevante per la partita, ma rilevante per il mio fegato: a un certo punto ho provato a fare un video, pensando che non si fermasse più. Ogni attacco della V aspettavo una tripla di Belinelli, ma semplicemente non è più successo, se non quando ho smesso di riprendere. Il Dio del basket che impone la sua quotidiana dose di cazzimma.

Per finire +30 potete comprendere che non sia stata la partita di un solo giocatore e mi ha fatto piacere che, dopo un inizio sicuramente incolore, abbia brillato anche il talento di Nico Mannion. Era parso infastidito dopo essere tornato in panchina nel primo tempo. Nella seconda metà della partita ha spiccato il volo, prendendo possesso dell’area avversaria con una serie di penetrazioni che hanno fatto alzare bandiera bianca ai giocatori di Brindisi. I quali, a un certo punto, sembravano pregare quel Dio di cui sopra perché accelerasse il cronometro.

Non so se tutto questo sia stato sufficiente per cambiare le gerarchie di Scariolo. Di sicuro è stato bello.

Photo credits: Virtus Pallacanestro Bologna


Rispondi