Dopo i pesanti fatti di cronaca dell’ultimo anno, nel carcere minorile prende avvio un accordo firmato insieme all’Ausl volto a prevenire autolesioni e tentativi di suicidio. Filo conduttore il coinvolgimento delle diverse professionalità che, all’interno del penitenziario, interagiscono a vario titolo con i giovani detenuti
di Antonella Peloso, dipendente Ausl
Da gennaio 2023 è prevista l’applicazione del Protocollo tra l’Azienda Usl di Bologna e l’Istituto Penale Minorile di via del Pratello: Azioni previste per la prevenzione del rischio autolesivo e suicidario.
Le novità del progetto si scontrano con un percorso in salita visti i pesanti problemi delle carceri, che minano gravemente il proposito di fare del periodo detentivo un percorso di rieducazione e, in previsione, di reinserimento nel contesto sociale.
L’Istituto del Pratello rappresenta anche esteticamente questa contraddizione. Bellezza e contenzione. Circondate da mura quattrocentesche nel cuore della vita notturna bolognese, le grate delle finestre delle celle lasciano intravedere il bel cortile interno con l’orto autogestito dai detenuti. Corsi di cucina, attività sportive, percorsi di studio (anche universitario) convivono con un sovraffollamento che genera frequenti episodi di violenza. Da ottobre 2021, dopo lavori di ripristino del secondo piano, la popolazione carceraria è passata da 20 ragazzi a 44. Un ulteriore elemento di criticità è determinato dal recente inserimento – dovuto anche alla temporanea chiusura del Carcere minorile di Treviso – di ragazzi maggiorenni fino a 25 anni, spesso reclusi per reati gravi e/o appartenenti a famiglie legate alla criminalità organizzata. I giornali hanno riportato esplosioni di rabbia, risse, atti vandalici, uso e spaccio di stupefacenti, azioni autolesive, tentativi di suicidio. Il Direttore Alfonso Paggiarino ha dichiarato: «È vero, i problemi non mancano mai, ma è altrettanto vero che oggi siamo un modello».
L’obiettivo del Protocollo di intesa, dichiarato nella premessa è «l’implementazione di una gamma di interventi finalizzati alla prevenzione del rischio suicidario» per intercettare e trattare con tempestività stati di disagio, sofferenza psicologica, patologie psichiatriche o altri tipi di fragilità. Filo conduttore il coinvolgimento delle diverse professionalità che, all’interno del penitenziario, interagiscono a vario titolo con i giovani detenuti. La novità introdotta è la previsione di un colloquio di primo ingresso con uno psicologo afferente alle articolazioni del Dsm-dp (Dipartimento di salute mentale – Dipendenze Patologiche) dell’Azienda Usl da effettuarsi entro 24 ore dall’ingresso nella struttura carceraria, giorni festivi compresi.
Il nuovo momento di osservazione e valutazione (che si aggiunge alla visita medica e al colloquio con l’educatore già previsti) è offerto ai ragazzi all’ingresso nella struttura carceraria, quando è più facile cedere a «scoramento e angoscia per la detenzione», e ha lo scopo di individuare eventuali necessità di ulteriori interventi specifici. L’approccio è multidisciplinare e prevede incontri regolari e integrati tra personale sanitario, polizia penitenziaria e area educativa, al fine di condividere tutti gli indicatori utili a rilevare eventuali problematiche. Il minore viene osservato nella relazione con gli altri detenuti, vengono considerati frequenza della corrispondenza, andamento dei colloqui, grado di partecipazione alle attività collettive.
Gli interventi tendono a valorizzare le relazioni interpersonali e a sollecitare l’esternazione e la condivisione delle difficoltà, cercando di allontanare fattori di rischio quali l’interazione negativa con i compagni di cella o il verificarsi di atti di bullismo. Il comportamento autolesivo è valutato nell’ambito dell’approccio adolescenziale, spesso oppositivo e sfidante, teso alla sperimentazione dei limiti costituiti dalle regole della convivenza. Nel Protocollo si è tenuto a esplicitare l’attenzione alla valenza strumentale dei comportamenti autolesivi, agiti anche per attirare l’attenzione su di sé e/o per ottenere trattamenti vantaggiosi. Quando una famiglia è presente è prevista una sensibilizzazione dei familiari, figure determinanti per la tessitura di una rete di sicurezza affettivo-relazionale. Purtroppo però un’alta percentuale di detenuti è di origine straniera, spesso senza fissa dimora.
La sera di sabato 17 dicembre un ragazzo di 17 anni detenuto al Pratello ha dato fuoco al materasso, provocando un incendio che ha intossicato tutti, lui compreso, ma fortunosamente non ha provocato danni gravi alle persone. «Ha detto che voleva attirare l’attenzione, onestamente non abbiamo capito le ragioni del gesto, doveva uscire venerdì prossimo per tornare in comunità» ha dichiarato il Direttore del Carcere.
Vorrei infine richiamare l’invito rivolto qualche giorno fa dal sindaco di Bologna al Ministro della Giustizia Carlo Nordio: istituire prima possibile un tavolo interministeriale, che coinvolga tutte le istituzioni, Comuni compresi, per continuare a osservare il fenomeno della devianza giovanile e individuare soluzioni efficaci anche in termini di prevenzione.
Credo che il riconoscimento e il supporto siano necessari dentro e fuori dal carcere, sebbene sia un obiettivo difficilmente raggiungibile in una società affollata, socialmente variegata e multietnica come la nostra. Sofferenza ed esclusione generano impotenza, rabbia e aggressività. Un sistema che accetta al proprio interno sproporzionate diseguaglianze non può avere vita lunga, le contraddizioni estreme esplodono, come le porte e le mura nelle carceri.
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