Sergia Avveduti, tra arte e architettura

Nata a Lugo nel 1965, ha studiato pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna dove è ora docente. Fotografie, video, installazioni, sculture, disegni sono i linguaggi che predilige. Attratta dal sapere identificato con arte e architettura, crea mondi connessi a un immaginario personale e al tema del viaggio. Focalizzata su paesaggio e architettura, lavora sulla stratificazione di elementi contrastanti al di là del visibile e sul concetto di tempo come sedimentazione e dispersione. Negli ultimi anni ha sviluppato un interesse per l’archeoastronomia e l’illustrazione documentaria come segno e memoria

di Francesca Sibilla, Responsabile divulgazione della Ricerca Unibo


La sua produzione artistica si avvale di diversi medium. In quali si riconosce di più e come nasce un suo progetto artistico? 

Mi sento libera di attingere a qualsiasi medium sia necessario per concretizzare la mia idea, non ne ho uno preferito. La scultura mi è particolarmente congeniale. Il percorso che porta alla nascita di un progetto artistico non è sempre lo stesso. Sento la necessità di ricercare una piega, uno slittamento che possa far deragliare il senso della realtà o della storia.

Velocità silenziosa, 2018, collage su carta (Photo credits: AF Gallery)

All’origine dei suoi lavori l’iconografia della storia dell’arte e dell’architettura reinterpretata da soggettività personale. A quale immaginario attinge?

Non cerco mai un rapporto con la tradizione o con la manualità che riporti a un senso di rassicurazione. A partire dalla fine degli anni Novanta ho concentrato la mia ricerca verso lo sterminato archivio di immagini offerte dalla storia dell’arte, proponendone un’interpretazione differente. In alcune mie opere, per me particolarmente significative, il mio intuito creativo è guidato dall’imporsi di un preciso punto di vista sul soggetto. È il caso di Osso: pulpito schematizzato e reso quasi bidimensionale, come sottoposto al movimento di una parete pneumatica oppure i meccanismi d’orologio realizzati in solido legno dal sapore antico, meccanismi connessi all’idea di una velocità meccanica a cui è sottoposto il trascorrere del tempo.

Osso, pulpito, 2002, legno, Nuovo Spazio Italiano, Mart, Palazzo delle Albere, Trento

A proposito di antico, nella sua produzione indaga questa dimensione in rapporto al tempo. Che significato hanno per lei questi concetti e che rapporto ha con queste due dimensioni?

Nella concezione scientifica recente il tempo non viene più considerato come un’unità di misura univoca in ogni contesto. Una persona che vive in alta montagna vive uno scorrere del tempo più lento rispetto a chi vive al mare. Mi interessa fondere questa dimensione misurabile del tempo, ma differente a seconda del contesto, con la percezione del suo fluire che abbiamo in quanto persone. Nelle mie opere la presenza di indicatori temporali rimandano alla memoria che è in grado di riunire il trascorrere dei nostri attimi nel presente come anche il nostro passato più remoto in quanto collettività, l’antico.

Osservazioni Astronomiche, Sole, 2019 C- print su carta Hahnemuhle Fine Art

A proposito di antico e di tempo mi viene in mente Osservazioni Astronomiche dedicata alla Specola, primo osservatorio astronomico pubblico italiano e collezione del Sistema Museale di Ateneo. Come è nato questo progetto?

Sono sempre stata attratta dalla bellezza della Specola. Mi ha colpito la strategia di Marsili che concepisce e coordina un efficace gioco di squadra tra arte, scienza e politica. Nella mia opera Osservazioni astronomiche, Sole, Luna, Giove ho ricercato un’idea di lontananza e di assenza. Sono stata colpita da alcune copie di quadri di Donato Creti collocate in un angusto corridoio della Specola, gli originali sono presso i Musei Vaticani. Ho reinterpretato le immagini cancellando alcune parti che raffiguravano determinati personaggi, evidenziando un possibile spazio e rendendolo maggiormente metafisico, dando rilievo agli strumenti astronomici in relazione al corpo celeste indagato. Marsili è riuscito ad ottenere l’osservatorio regalando i dipinti di Creti al papa che così ha contribuito alla sua realizzazione partecipando con un cospicuo finanziamento.

Ciglio di sole, 2020, stampa su zinco e gesso ceramico, Paesaggi personali, Galleria Vannucci, Pistoia

Rimanendo sul concetto di tempo, so che ha lavorato sull’Annuario della videoarte italiana con il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna. Quale lavoro ha sviluppato per l’occasione?

Alcuni docenti del Dams, Silvia Grandi, Renato Barilli, Fabiola Naldi e altri curatori, mi invitarono a presentare un video che contenesse i segni di un paesaggio del tempo. In Codec, ho stabilito un punto di contatto con il territorio in cui vivo scegliendo proprio il paesaggio naturale, in particolare ho voluto creare una connessione con i calanchi delle colline bolognesi. Il video mostrava una crescita improvvisa e veloce di calanchi rispetto alla lenta evoluzione che conduce al loro formarsi, un’alterazione che mi ha permesso di intervenire sulla dimensione temporale. Ho partecipato ad altre mostre curate dal prof. Barilli, e in particolare in un’esposizione presso la nostra Pinacoteca di Bologna avevo già esposto Codec.

In Oasi e ad A3 è ricorsa al collage. In un momento storico in cui la fisicità della carta sta perdendo il suo primato, che valenza ha per lei la ripresa di questa tecnica antica?

In occasione delle mie esposizioni presso Af Gallery di Bologna la riflessione sul collage fotografico proponeva frammenti di paesaggi stratificati. Mi sorprende la capacità di un panorama di contenerne un altro al suo interno. Il risultato finale è una mescolanza di visioni tra un presente fotografico che osservo e che poi ritaglio e monto con altri particolari che destabilizzano e riconfigurano un nuovo risultato. Si giunge così ad un orizzonte immateriale fatto di informazioni visive, memorie, quasi una strategia di adattamento culturale somma di tutti i paesaggi possibili. La fisicità cartacea dei frammenti utilizzati supera il senso di effimero prodotto oggi dalle immagini digitali.

Meccanismo d’orologio n° 17, 2007, legno di noce, carta di riso, passamaneria, betulla bianca, 100x80x190 cm, Notebook. Oggetti a funzione estetica, Neon>Fdv, Milano

Diverse sue sculture-installazioni sono al confine tra arte e design. Quale connubio tra processo artistico ed estetica del design?

Alla Triennale di Milano, in una mostra curata da Alessandro Mendini, ho proposto alcuni di questi meccanismi di orologio ingranditi e realizzati in legno. In alcuni casi la presenza della funzione è l’unico punto di diversità tra un oggetto di design e un’opera d’arte. Questo punto di confine era stato indagato anche nella mostra Notebook. Oggetti a funzione estetica. In quel caso avevo esposto una mia opera, recentemente riproposta al Mambo a Bologna nella collettiva No Neon no cry, in cui un piano, che poteva richiamare l’idea di un tavolino estremamente elaborato e particolare, era accostato a una forma che richiamava una lampada.

L’articolo è stato realizzato per la rivista di CUBo – Circolo Università di Bologna, diretta da Massimiliano Cordeddu


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