Cambiare modello di sviluppo, in chiave ambientale, può e deve significare anche restituire tempo di vita alle persone e tenere tutte e tutti dentro a questo processo. Sostenibilità ambientale ed economica si possono alimentare a vicenda, ma per fare questo in Italia serve un Partito democratico capace di scelte lungimiranti e radicali
di Andrea Colombo, avvocato, già assessore del Comune di Bologna
Lo scorso dicembre la Segreteria del Partito Democratico di Bologna ha promosso, dopo molti anni che non accadeva, una iniziativa programmatica, aperta a iscritte, iscritti e non, dal titolo “Per un nuovo Pd, Bologna fa così”: una bella occasione di confronto politico e di produzione di contenuti che speriamo arricchiscano in modo vero il percorso del congresso nazionale, perché nei circoli, soprattutto in quelli che funzionano, vediamo spesso tante elaborazioni ma ciò che conta davvero è il dopo, ovvero la restituzione e valorizzazione di quanto prodotto da chi ha partecipato.
Quello che segue è il mio contributo al tavolo dedicato a “economia, sviluppo e transizione ecologica”: idee e proposte che, tra i nomi in campo, penso possano essere meglio interpretate da profili come quello di Elly Schlein, che confido ne faccia tesoro, assumendo posizioni coraggiose e marcando sempre più la differenza dagli altri candidati proprio su questi argomenti.
Alla domanda sulle priorità rispondo senza esitazione: affrontare in modo coraggioso la crisi climatica, compiendo quelle scelte che la scienza ormai da anni ci chiede siano radicali e rapide: o, se si preferisce,“misure eccezionali e immediate”, che l’Onu invocava nel 2019 e non per la pandemia, che doveva ancora arrivare, ma per la crisi climatica, che già era grave. Per due ragioni fondamentali. Prima di tutto, semplicemente perché senza un ambiente vivibile non c’è attività umana (che sia sociale, economica, ecc.) possibile: il pianeta è sempre sopravvissuto, è l’umanità che sta andando verso l’estinzione. In secondo luogo, perché così facendo potemmo aprire una straordinaria opportunità di nuovo sviluppo economico, ambientalmente sostenibile, e di riduzione delle ingiustizie sociali.
Per lungo tempo, salvo alcune voci che apparivano visionarie e che in realtà stavano solo anticipando la visione per il futuro, su questi argomenti siamo stati conservatori: abbiamo scontato una subalternità, al contempo culturale, politica e amministrativa, della questione ambientale rispetto alle questioni sociali ed economiche, che appartengono più tradizionalmente al patrimonio genetico del centrosinistra.
La politica dovrebbe invece avere la capacità e l’ambizione di pre-vedere, di aprire le strada, di guidare e orientare i grandi cambiamenti prima che siano questi a travolgerci. Questo vale a maggior ragione per l’ambiente, che è la sfida del presente e del futuro, e per un partito di sinistra: senza un forte governo pubblico della questione ecologica e lasciando emergere le soluzioni dai rapporti di forza nella società e nel mercato, i beni comuni dell’ambiente e della salute soccombono e le diseguaglianze sociali ed economiche si allargano – perché nella complessità del mondo di oggi tutto è intrecciato.
Negli ultimi tempi il tema climatico ha cominciato a entrare nell’agenda politica, ma il nuovo rischio è che si prenda una scorciatoia, abbracciando l’idea illusoria che possiamo cavarcela “semplicemente” con le innovazioni tecnologiche, senza darsi limiti.
È dell’ormai lontano 1972 il famoso rapporto “I limiti dello sviluppo”. Ma, in Italia, è solo del 2022, ben cinquant’anni dopo, l’approvazione delle modifiche alla nostra Costituzione con le quali è stata aggiunta la tutela dell’ambiente nei principi fondamentali, all’articolo 9, senz’altro la modifica più nota; ma, come corollari probabilmente meno conosciuti, all’articolo 41 sono stati anche inseriti l’ambiente e la salute tra i limiti espressi all’attività economica privata, insieme alla libertà, sicurezza e dignità già vigenti, ed è stata ampliata la possibilità di disporre programmi e controlli pubblici per indirizzare l’economia anche a fini ambientali e non più soltanto sociali.
Non potendosi più ignorare la crisi climatica, il rischio, in sostanza, è di affidarsi esclusivamente alla tecnologia, pur fondamentale ma da sola non sufficiente e a volte perfino portatrice di conseguenze contraddittorie (come nel caso di innovazioni che richiedono maggiori consumi di energia o di risorse naturali), per non mettere invece in discussione in profondità e ripensare in modo nuovo e davvero sostenibile il modello di fondo di produzione e consumo su cui si basano la nostra economia e società a livello globale e locale, le politiche pubbliche, gli stili di vita individuali e collettivi, e dal quale in definitiva deriva la crisi climatica, in modo fortemente interdipendente con i problemi sociali e dell’economia.
Emblematica in questo senso è anche la scelta delle parole. Oggi si definisce il processo in atto per lo più come “transizione” ecologica: ma questo, a ben vedere, è un concetto troppo timido, poco compatibile con il tempo sempre più scarso che ancora ci resta per agire, forse anche un modo sottile per rinviare i veri cambiamenti che gli scienziati chiedono ai decisori. La “transizione”, da questo punto di vista, non va assolutamente buttata via, ma dovrebbe essere ricondotta alla funzione di strumento per raggiungere invece come fine, come obiettivo strategico, una vera e propria “svolta ecologica” (così si chiamava proprio, in anticipo sui tempi, anche uno dei cinque pilastri del programma di mandato 2011-2016 del Comune di Bologna), da affermare con coraggio e chiarezza, anche appunto con un cambiamento di linguaggio e di narrazione pubblica.
Tre esempi concreti e paradigmatici possono aiutare a comprendere la differenza tra affidarsi solo alle tecnologie e porsi come obiettivo la transizione in sé, o invece puntare alla svolta tramite cambiamenti sia di sistema che tecnologici. Nel settore dei rifiuti, la prima azione necessaria, nella piramide delle “tre R”, è ridurre a monte la quantità di rifiuti prodotti; dopo viene riutilizzare (uno stesso bene rigenerato e rimesso in circolazione con la stessa funzione che aveva in precedenza) e solo alla fine riciclare il materiale (tramite la raccolta differenziata, che, a pensarci bene, pur essendo in realtà l’ultimo nella piramide rovesciata, è quasi l’unico obiettivo a cui di solito viene data rilevanza). Nel campo dell’energia, per far calare la CO2 è decisiva la sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili, ma tutti i piani di mitigazione prevedono anzitutto la riduzione dei consumi energetici in quanto tali e l’efficientamento energetico. Nella mobilità, infine, lo stesso dossier intitolato “Decarbonizzare i trasporti”, prodotto dal Ministero delle infrastrutture guidato fino a pochi mesi fa da Enrico Giovannini, come d’altra parte i Piani urbani della mobilità sostenibile dei Comuni, ha previsto quale obiettivo prioritario diminuire il parco veicolare circolante e l’uso dei mezzi privati a motore in quanto tali e aumentare gli spostamenti coi trasporti pubblici, in bicicletta e a piedi, rispetto a cui si pone in modo complementare l’obiettivo di elettrificare le auto.
Per portare avanti questi cambiamenti di sistema, è indispensabile che un partito che ha nel nome stesso l’aggettivo “democratico” coinvolga le persone e, nello stesso tempo, scelga a chi vuole parlare e chi intende rappresentare prima di tutto. Un Pd che abbia il coraggio di scegliere veramente da che parte stare e al contempo dimostri di saper tenere assieme la complessità in una visione avanzata, così da definire quella “nuova identità” di cui tanto si parla nelle ultime settimane.
Scegliere di stare con le comunità attive, di giovani ma anche di adulti, che in modo crescente si impegnano per l’ambiente in molteplici forme, e più in generale con i cittadini che, pur non partecipando a organizzazioni, sempre più spesso consumano e votano pensando anche alla questione ambientale, di cui è enormemente cresciuta la consapevolezza e urgenza.
Scegliere di stare con le imprese che decidono, senza gravare sui consumatori finali, di investire sulla transizione o meglio svolta ecologica come driver del loro sviluppo economico e industriale, di prodotto e di processo, rispetto a quelle magari più tradizionali che non stanno cambiando e comunque vanno spinte e aiutate a farlo.
Scegliere di stare con le lavoratrici e i lavoratori che nel processo di riconversione produttiva, inevitabile e da governare come settore pubblico, rischiano di perdere l’attuale posto di lavoro e che vanno accompagnati nella formazione e ricollocazione nei nuovi settori in sviluppo.
Scegliere, infine, di stare dalla parte delle persone che oggi sempre più soffrono un modello di sviluppo basato sulla produzione e sul consumo frenetici, che non solo non è attento all’ambiente ma neanche alle esigenze di cura familiare e di tempo per se stessi e per la collettività.
Cambiare modello di sviluppo, in chiave ambientale, può e deve significare anche restituire tempo di vita alle persone e tenere tutte e tutti dentro a questo processo. Sostenibilità ambientale, sociale ed economica si possono alimentare a vicenda, ma per fare questo in Italia serve un Partito democratico capace di scelte lungimiranti e radicali.
Photo credits: Daniel Seßler
Anche Cuperlo e’ su questa linea
Vorrei racconti di esperienze concrete che ci aiutino a immaginare uno schema nuovo, diverso di utilizzo delle risorse umane (creatività, solidarietà, lavoro) e di quelle della terra. Abbiamo bisogno di soddisfare ogni bisogno umano senza l’aggressione al pianeta e lo sfruttamento dei viventi che hanno caratterizzato crescita demografica ed economica degli ultimi secoli. Sviluppo scientifico e tecnologico non sono stati sostenuti e corretti da adeguate riflessioni morali, epistemologiche e politiche. Senza una visione, un metodo condiviso come potrà Penelope disfare la tela avvelenata e tesserne una nuova, rispettosa della vita?
Caro Andrea, riflessione ben scritta. Difficile non essere d’accordo. Colgo l’occasione per condividere pubblicamente uno spunto utile per arricchire la riflessione su queste tematiche e che forse potrà offrire un appiglio a Mig Brandinelli che ha commentato questo articolo.
Il mio spunto è il seguente: il pensiero di Hans Jonas che nel 1979 pubblicava il volume “Il principio responsabilità” – https://www.einaudi.it/catalogo-libri/filosofia/filosofia-contemporanea/il-principio-responsabilita-hans-jonas-9788806201050/
Per chi non ne fosse a conoscenza, lo ritengo un tassello imprescindibile per costruirsi un’opinione su questi temi. Sono certo che tu Andrea lo conosci. Lo condivido a beneficio dei lettori.
La cosa che a me lascia francamente incredulo è che questi temi ormai calcano le scene da 40-50 anni, se non di più, ma nessuna forza sembra essere ancora riuscita a trasformare l’urgenza ecologica in pianificazione politica capace di far presa sull’immaginario collettivo. Per farla breve, le domande che mi pongo sono le seguenti: perchè i Verdi non si fanno strada in Italia? E se non ci riescono loro a sdoganare questi temi su vasta scala, come spera di riuscirci il PD?