Per una regione veramente progressista occorre mettersi al lavoro

Appare chiaro, come delegato sindacale, che una delle regioni europee più ricche in assoluto contiene tuttavia delle sacche di insoddisfazione e ingiustizia a carico dei lavoratori dipendenti che, anche in Emilia-Romagna, spesse volte vivono condizioni di lavoro povero e precario. Una situazione intollerabile per una realtà che si autodefinisce progressista, e di cui come comunità dovremmo occuparci

di Marco Morales, Rsa Coop Alleanza 3.0 (Filcams Cgil)


Ci sono gesti e azioni, nella nostra quotidianità, che tendiamo ormai naturalmente a dare per scontati. E non è certo una colpa, stressati tutti come siamo dal procedere vorticoso delle nostre giornate, presi in mezzo tra lavoro, famiglia e, se siamo fortunati, un po’ di tempo da dedicare a noi stessi. Sono gesti e azioni che compiamo con un certo automatismo, spesso senza preoccuparci troppo delle loro implicazioni, siano esse economiche, culturali o umane. Tanto che quando facciamo la fila alle Poste, così come quando entriamo in un supermercato o in un bar, puntiamo dritti al cosa, ossia l’oggetto del nostro desiderio, senza curarci troppo del perché e soprattutto del chi, i lavoratori, ci rende possibile ottenerlo.

Essere stato eletto Responsabile sindacale in Coop alleanza con le modalità nostre di Filcams, ovvero attraverso il voto dei propri colleghi, significa sia entrare in modo diretto e inequivocabile nella vita di tutti loro, col carico di problemi e aspettative che ognuno porta alla mia e nostra attenzione, sia confrontarsi ogni giorno con un sistema sociale, politico e amministrativo regionale ricco di risorse quanto di contraddizioni. Appare infatti chiaro, come delegato sindacale, che una delle regioni europee più ricche in assoluto contiene tuttavia delle sacche di insoddisfazione e ingiustizia a carico dei lavoratori dipendenti che, anche in Emilia-Romagna, spesse volte vivono condizioni di lavoro povero e precario.

Allora la responsabilità più grande che credo di avere, come loro rappresentante, non è solo la tutela individuale rispetto ai contratti di lavoro, agli inquadramenti in azienda, al rapporto personale tra addetti impiegati e operai con i loro, i nostri superiori. Sento forte anche l’obbligo di provare a incidere su un sistema sociale, politico, amministrativo ed economico che non può sempre dirsi progressista e di sinistra se non lotta, con me e con noi, per cambiare in senso migliorativo la vita dei lavoratori e delle loro famiglie.

È un lavoro enorme, che vede intrecciarsi varie attività e diversi metodi. Dalla contrattazione collettiva di secondo livello, allo studio delle leggi e dei contratti, fino al dibattito ideologico con le controparti datoriali sui principi di diritto. Il principio per il quale, per esempio, sia giusto e sacrosanto, dopo un certo numero di contratti in somministrazione, una definitiva assunzione in azienda con contratto a tempo indeterminato. Anche – e mi viene da dire soprattutto – per quelle donne e quegli uomini non più apprendistabili che, dopo i 30 i 40 e i 50 anni faticano a trovare una prospettiva accettabile e dignitosa. Persino in Emilia-Romagna.

Ciò che dunque auspico e ciò che mi sforzo di fare è un lavoro sindacale che contempli la contrattazione con le aziende e il dialogo con gli attori della società civile, che vorrei tutti più vicini nella lotta alle ingiustizie, al precariato e alla povertà. Perché se è vero che siamo capaci con le nostre forze di contrattare condizioni di lavoro dignitose ed efficaci, lo è anche che, con un impianto normativo più corretto e meno orientato al solo profitto e alla produttività, potremmo fare tutte le volte un capolavoro. Un capolavoro che dalle nostre province contamini anche il resto del Paese.

Come quando in Coop alleanza 3.0, al tavolo della trattativa per il rinnovo del Cia, abbiamo subito capito che ciò che stavamo conducendo a Bologna era una battaglia enorme per i diritti anche dei nostri colleghi e compagni delle regioni del Sud. Anche mediante la pretesa di pari condizioni contrattuali per noi e i colleghi e compagni della rete in franchising – che oggi si sviluppa per esempio in Sicilia – e per i compagni lavoratori delle cooperative in appalto e subappalto.

La legge è uguale per tutti e anche i contratti: devono esprimere gli stessi diritti e le stesse tutele. Dal Nord al Sud, per gli italiani e gli stranieri, per le donne e per gli uomini. Senza nessuna distinzione. Le specificità territoriali non possono riguardare i diritti fondamentali, ma solo normare qualche aspetto dell’organizzazione del lavoro.

E insomma mi è parso, a un certo punto della vita, che il mio lavoro, la mia professione, la mia personale condizione di cittadino e lavoratore in questa regione non bastasse più per sentirmi felice e appagato. Lo sono solo ora che, così coinvolto in Filcams, lotto insieme a tanti altri per i diritti di tutti e per la felicità di ognuno, sul posto di lavoro come nelle piazze per la Pace e antifasciste. Al lavoro!

Photo credits: sferalavoro.com


Un pensiero riguardo “Per una regione veramente progressista occorre mettersi al lavoro

  1. I miei auguri di buon lavoro. Spero tanto che ciò che ti sei posto come obiettivo possa essere raggiunto in maniera sufficiente, perchè in coop c’e da recuperare tanto, direi tutto; a partire dalla presenza della Cgil nel palazzo direzionale e quindi alla difesa del lavoro e della dignità dei lavoratori. Oggi (mi fa male il cuore dirlo) siamo alle soglie dello “sfruttamento”. saluti.

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