Lo scorso 25 febbraio, in Sala Anziani di Palazzo d’Accursio, Europa Verde Bologna ha organizzato un incontro per discutere dei benefici della riduzione degli orari di lavoro. L’iniziativa è la prima di una serie che, nelle intenzioni dei promotori, vuole essere un tentativo di mettersi in cammino verso un cambiamento possibile, dando voce alle tante persone che vogliono una vita migliore
di Danny Labriola, Co-portavoce Europa Verde-Verdi Bologna
È stato un successo l’evento pubblico promosso da Europa Verde Bologna Quattro giorni di lavoro posson bastare (qui), che si è tenuto sabato 25 febbraio in Sala Anziani di Palazzo d’Accursio. Qualche giorno prima avevo ricevuto un messaggio privato su Facebook: «Complimenti per l’iniziativa. Pensavo che i Verdi si occupassero solo di alberi». Nella risposta ho cercato di spiegare che occuparsi di alberi, di ambiente, di clima, di energia… significa occuparsi anche di lavoro, di salute, di qualità della vita, di tempo libero. Finché non capiremo che tutto è collegato, faremo fatica a trovare soluzioni giuste.

Eppure, la pandemia ci aveva aperto gli occhi sul legame profondo tra uomo e natura, tra vita e lavoro, tra economia, salute e ambiente. La pandemia è stata come la febbre che arriva per farci capire quello che non capiamo da soli, cioè che dobbiamo rallentare, riposare, rivedere le nostre abitudini e il nostro stile di vita. Ho sempre immaginato il Covid come un avvertimento della natura, del pianeta maltrattato, per renderci consapevoli del baratro che si avvicina e per favorire cambiamenti radicali. Durante l’esperienza drammatica del lockdown, abbiamo avuto tutti modo e tempo per riflettere sulla nostra fragilità, sulle nostre vite frenetiche e ansiose, su un sistema economico distruttivo e contronatura. Molti hanno cominciato a riconsiderare le proprie priorità, a capire l’importanza dell’equilibrio tra vita privata e lavoro. Abbiamo capito che si possono ridurre gli spostamenti, che si può lavorare da casa, che si può avere un’aria più pulita, che si può fare la spesa nei piccoli negozi vicino a casa, abbiamo riscoperto il piacere di camminare e di andare in bici.
Negli ultimi tempi, poi, è scoppiato anche in Italia il fenomeno delle grandi dimissioni: milioni di persone cercano migliori condizioni di lavoro, cercano più benessere e più flessibilità. Anche i giovani, che hanno sofferto per il prolungato periodo di isolamento, chiedono una vita migliore. Nella scelta del lavoro, anche la loro priorità è la qualità della vita. Dare importanza al lavoro significa dare importanza alla sua dignità: i ragazzi non vogliono più arrendersi a ricatti, precarietà, sfruttamento. Chiedono un ambiente di lavoro stimolante e flessibile, in cui il rapporto con i dirigenti sia basato sulla fiducia e non sul controllo. In questo la pubblica amministrazione dovrebbe dare l’esempio. Il ministro Zangrillo ha più volte ribadito che occorre passare da una logica di controllo a una logica di obiettivi. E invece spesso si ha la sensazione che la valutazione sia basata più sulle ore trascorse in ufficio che sui risultati raggiunti.
Insomma, la pandemia ci ha aiutato a capire il valore del tempo, della salute, dell’ambiente. Mi aspettavo che quelle riflessioni e quei piccoli spiragli di cambiamento fossero accompagnati e rafforzati dall’azione della politica e dei governi. Doveva esserci un prima e un dopo pandemia. Imparata la lezione, non si doveva più tornare indietro. Invece la politica e i governi non hanno saputo o non hanno voluto accompagnarci in quel percorso del dopo. Un percorso di cui dovrebbero far parte la riduzione dell’orario di lavoro (quattro giorni di lavoro posson bastare!), lo smart working, la conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro. La politica italiana sembra poco interessata a tutto questo, sembra non voler ascoltare chi vuole una migliore qualità di vita per non sprecare la dura lezione ricevuta dal Covid. E così siamo tornati indietro, stiamo tornando indietro, e mentre altri paesi provano a rivoluzionare il mondo del lavoro per dare più spazio alla vita e al benessere delle persone, noi rimaniamo fermi.
L’iniziativa del 25 febbraio e quelle che organizzeremo nei prossimi mesi sono un tentativo di mettersi in cammino verso un cambiamento possibile e di ascoltare e dare voce alle tante persone che vogliono una vita migliore.