Clima e lavoro, la Regione si fa più “smart”

La risoluzione appena approvata all’Assemblea legislativa impegna la Giunta regionale a dedicare un approfondimento, nell’ambito del tavolo del Patto per il Lavoro e il Clima, all’applicazione del lavoro agile in Emilia-Romagna, sia nel pubblico sia nel privato, al fine di valorizzare le numerose esperienze positive nate durante la pandemia

di Silvia Zamboni, capogruppo di Europa Verde e vicepresidente dell’Assemblea legislativa Emilia-Romagna


Introdotto come misura emergenziale durante la fase acuta della pandemia, in questi anni lo smart working ha fatto toccare con mano i suoi benefici: oltre a incidere positivamente sulla qualità di vita delle persone consentendo una migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, permette ad aziende e lavoratori di ottenere risparmi economici non indifferenti ai quali va aggiunta, sul versante ambientale, la consistente riduzione delle emissioni di CO2 grazie ai mancati spostamenti casa-lavoro-casa con mezzi propri motorizzati.

Finita l’emergenza sanitaria, in Europa non si è fermata la diffusione del lavoro agile. Non così in Italia, dove si è assistito ad una brusca frenata a favore del rientro in ufficio, soprattutto nella pubblica amministrazione e nelle Pmi. Un ritorno al passato al quale ha contribuito il governo: prima Draghi, poi Meloni hanno sostanzialmente riportato in vigore le regole che valevano prima del Covid, a esclusione dei lavoratori fragili per i quali è stato prorogato lo smart working.

Un rientro di massa in ufficio che nel 2021 ha sollevato forti proteste di sindacati e lavoratori, sia nel pubblico sia nel privato. Emblematico il caso di Unipol, che solo nel nostro territorio conta oltre 4mila dipendenti. La decisione unilaterale dell’azienda di far rientrare tutti in ufficio è apparsa incomprensibile, anche alla luce della scelta di altri grandi gruppi di rendere strutturale il lavoro agile per non vanificare i risultati ottenuti durante il lockdown. Oggi Unipol sembra tornare sui suoi passi, a dimostrazione del fatto che la richiesta avanzata nell’ottobre 2021 dai sindacati di aprire un tavolo negoziale sullo smart working era giusta. È infatti di poche settimane fa la notizia che sarebbe in via di definizione un protocollo d’intesa per l’avvio di una sperimentazione di lavoro agile che ha l’obiettivo di coinvolgere tutti i lavoratori. Staremo a vedere se andrà in porto.

Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, il Comune di Bologna e la Regione Emilia-Romagna, seppure con modalità diverse, hanno deciso di continuare a puntare sullo smart working per i propri dipendenti. In Comune sono previsti un giorno di smart working alla settimana (dunque 52 all’anno) e 12 giornate aggiuntive da concordare con i propri responsabili durante l’anno. La Regione invece ha previsto accordi individuali che fissano al 49% i giorni che si possono svolgere in smart working. L’Assessore regionale al Bilancio e Personale, Paolo Calvano, ha sottolineato che «lo smart working ormai è entrato a far parte della nostra attività ordinaria. Abbiamo colto un’opportunità sia per il lavoratore, che per la struttura».mIn questo contesto, come capogruppo di Europa verde, ho ritenuto utile presentare in Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna una risoluzione che è stata approvata nell’ultima seduta.

Se da un lato il lavoro fuori casa è oggettivamente uno strumento di emancipazione sociale della donna, e uno spazio in cui tessere relazioni sociali e personali al di fuori dell’ambito domestico a cui viene confinata la donna in base ai noti stereotipi di genere, dall’altro il lavoro in presenza rischia di contribuire al fenomeno delle dimissioni volontarie delle lavoratrici-madri. È ovvio che la conciliazione della genitorialità, di madri e padri, con il lavoro fuori casa passa dalla disponibilità di adeguati servizi educativi per l’infanzia e di servizi sociosanitari di supporto a familiari che necessitano di continua assistenza. Tuttavia, il lavoro agile potrebbe offrire a entrambi i genitori la possibilità di conciliare i tempi di lavoro con quelli di accudimento di figli e congiunti.

Sulla base di queste considerazioni, la risoluzione di cui sono prima firmataria impegna la Giunta regionale a dedicare un approfondimento, nell’ambito del tavolo del Patto per il Lavoro e il Clima, all’applicazione dello smart working in Emilia-Romagna, sia nel pubblico sia nel privato, al fine di valorizzare le numerose esperienze positive nate durante la pandemia. E la impegna anche a intervenire in sede di Conferenza Stato-Regioni per sollecitare il governo a puntare con maggior decisione, come accade in quasi tutta Europa, sullo smart working nella pubblica amministrazione, passando dalla logica del controllo gerarchico a quella della responsabilità individuale tramite la definizione di obiettivi prestazionali e la misurazione dei risultati. Smart working, infatti, non è sinonimo di telelavoro, ma implica una riorganizzazione del lavoro, definito per obiettivi da raggiungere e non puramente di orario da coprire.

Ho accolto con soddisfazione il voto favorevole delle forze politiche di maggioranza che hanno condiviso la necessità di promuovere un’organizzazione più flessibile del lavoro, guardando con maggiore convinzione allo smart working che in questi anni ha dimostrato, alle aziende che l’hanno adottato, di poter contare su dipendenti più sereni, collaborativi e produttivi.


3 pensieri riguardo “Clima e lavoro, la Regione si fa più “smart”

  1. Premetto sono un ignorante sul tema (e anche su tanti altri temi). Ma Vorrei condividere alcune riflessioni sull’oggetto. Il tema dello Smart working è un tema che ha molteplici aspetti da valutare e considerare, che non possono fermarsi solo ed esclusivamente alle emissioni della CO2 e ad una maggiore presenza famigliare (i figli crescono in fretta e non si può pensare di finalizzare la propria vita solo sui figli). Parlando di SW suppongo che sia immediato cadere nella facile trappola demagogica che il tema offre, io penso solo che il tema sia complesso e non di facile comprensione come a prima vista possa sembrare.
    Il lavoro non è solo mera produzione, ma quando questo è virtuoso (bisogna sforzarsi affinché lo sia) questo diventa elemento importante della propria cresciuta ed equilibrio ma solo e soltanto se lo si vive in socialità. il contatto con le altre persone , colleghi , chiunque graviti negli spazi lavorativi, spesso diventa farmaco per lenire le proprie frustrazioni sofferenze che la vita quotidianamente ci riserva e trampolino per la propria creatività, può essere (anzi lo è) stimolo alla crescita , lo stare soli in casa con la usuale monotona vita ci si isola ancora di più , visto che la vita odierna con le attuali tecnologie contribuisce in modo importante perché questo avvenga. Le tecnologie hanno trasformato la socialità che prima era vissuta nell’agora , nella piazza, nel la strada , nel negozietto di quartiere , nel vicino , ad un colloquio (passivo) con lo smartphone : siamo sicuri che eliminare anche la possibilità di vedersi in ufficio sia una Vittoria della Società ? L’economia legata alla presenza in ufficio (il baretto sotto …) vogliamo dimenticarla?
    Non lo so ripeto è un tema complesso è forse andrebbe non generalizzato ma disegnato ad hoc, ma mi piacerebbe che le forze politiche mettessero la stessa foga ed entusiasmo per contrastare le attività di quei mostri che ci obbligano a rimanere a casa , noi e i nostri figli , perché lo scambio di idee “in presenza” è il motore dello sviluppo intellettuale e dell’equilibrio psicologico e ci dona un briciolo in più di felicità e voglia di vivere. Vogliamo costringere le nuove generazioni ad isolarsi sempre di più?

    1. Ringrazio Antonio per il suo commento, anche perché mi permette di chiarire ulteriormente il mio approccio al tema smart working.
      Come si può intuire da quello che ho scritto sull’aspetto emancipatorio del lavoro fuori casa per le donne, condivido l’opinione che il posto di lavoro è anche luogo di relazione. E, aggiungo – è quasi banale osservarlo – non tutte le occupazioni possono essere svolte in forma di smart working. Tuttavia, dove è possibile, anche solo per determinate fasi di vita e solo in una parte dell’orario settimanale, è una possibilità che può e deve essere offerta la’ ove applicabile.
      Al contrario, ho considerato fin dall’inizio solo adatta a una fase emergenziale la scuola in didattica a distanza: a parte ogni altra considerazione sugli aspetti dell’efficacia didattica della DAD, in questo caso l’aspetto relazionale per gli adolescenti è fondamentale e insostituibile in quella fase di vita di apertura al mondo extra familiare e di maturazione e crescita tra pari. Analogamente, lo smart working può risultare inadatto, se assolutizzato, per incarichi di lavoro strettamente legati alla condivisione, al confronto e allo scambio di opinioni.
      Tuttavia ritengo utile approfondire le modalità per consentire, a chi lo vuole o ne bisogno, di beneficiare di questa opportunità. Che per l’appunto è tale: non è un obbligo. Oggi, però, non a tutti è data la possibilità di scegliere. Ed è su questa apertura che è centrata la mia risoluzione.

  2. Gentile Antonio, è un problema se il lavoro e i colleghi diventano “farmaco” per lenire le frustrazioni e le sofferenze della vita. Bisogna lavorare meno e vivere di più. Le assicuro che anche il tempo libero favorisce la creatività.
    La socialità e lo scambio in presenza è importante, ma non serve vedersi in ufficio 5 giorni su 5. Conosco tante persone che vivono meglio grazie a 1 o 2 giorni di smart working a settimana. La politica ha il compito di ascoltare e interpretare al meglio i bisogni delle persone. Dopo la drammatica esperienza della pandemia, penso che sia sacrosanto il desiderio (soprattutto dei giovani) di una migliore qualità di vita.

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