Lettera  11 – Cara condannata, gentile condannato a morte della Resistenza italiana

di Alberto Bertoni, docente, poeta, saggista


Cara condannata, gentile condannato
a morte della Resistenza italiana,

nessuno di noi nati
dopo la fine della guerra
da voi condotta e vinta
contro fascisti e nazi
a prezzo della vostra
stessa vita
può a testa alta interrogarvi
perché nessuno di noi che abbiamo
oggi settant’anni
è morto per liberare gli altri,
tutti gli altri
dal regime più iniquo
che mente umana abbia concepito

E però, però
anche in mezzo agli agi (o quasi)
della classe media
a cui noi più fortunati apparteniamo
possiamo raccontarci
come se fossimo tutti insieme attorno a un fuoco
o in una stalla a riscaldarci di parole
e a trasmetterci conforto,
possiamo – dicevo – raccontarci
e soprattutto raccontarvi
qualche episodio di vita prigioniera
protrattasi nel tempo liberato
dalla vostra eroica Resistenza

Io per esempio posso dire 
di un viaggio non troppo remoto 
su un treno veloce da Parigi centro
verso l’enorme periferia che conta
più di otto milioni d’anime
non poche delle quali
diseredate, ansiose, povere
  
E adesso di colpo sono immerso
nella banlieue del Mondo Alieno
che poi è il mondo vero e immenso
quando nel cuore del vagone sento
vapori di sincero veleno
dietro il velo delle donne
e saluti o chissà cos’altro
sussurrati negli smartphone
dagli uomini ancestrali,
mori annoiati estranei
di gesti e di modi formali
che ci prendono a pugni
coi terribili sguardi
da cui affiorano rottami
discariche binari semiabbandonati
in mezzo a scheletri-catorci
di case dormitori…

Vedo e non capisco, non ho
diritto di parola
ma solo il riflesso di cortili 
scarpe infangate calcinacci e crepe
larghe come foglie
mentre loro nelle loro bluse 
di pelli plasticate,
loro sono colli taurini 
mani forse di assassini
occhi che vengono a cercarmi
e non sanno di cosa parliamo
ma soprattutto cosa 
li passiamo a fare
questi anni bastardi
raccogliendo ognuno a modo proprio 
infimi dettagli di noi stessi e degli altri,
ossessionati dai tanti
ciarpami sociali e personali
sui lungofiume di vite trascorse
a girarci dall’altra parte,
leggiadri indossando spazzature
inutili e lunari

Puri ciarpami noi stessi,
in tasca due biglietti 
senza volere irregolari
e in faccia questi nostri
profili di topi benestanti
(o quasi)

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