Fenomenologia dell’iscrizione ai centri estivi nell’era della digitalizzazione di massa
di Evaristo Sparvieri, giornalista
Ore 13.47. Cerco l’estate tutto l’anno, e all’improvviso eccola qua: sul sito del servizio scuola del Comune c’è un conto alla rovescia. Alle 14 si aprono le iscrizioni ai centri estivi. Solo e rigorosamente online. It’s the final countdown, parapappà… Ed è subito ansia. Ed è già (annunciato) delirio.
C’è il sole, è mercoledì e io sono ancora in piazza Maggiore. In straritardo. Ma non è questa la novità. Mi dirigo verso Palazzo d’Accursio e impugno lo smartphone. Ho una consapevolezza neanche troppo inconscia: quando un papà in giro con lo smartphone incontra una mamma rimasta a casa in ferie con il notebook, il papà con lo smartphone è un uomo morto. Mi faccio però un po’ di coraggio. O di illusione. Nec spe nec metu, dicevano i latini. Penso che magari da lì, dal cuore dell’amministrazione, anche un semplice smartphone possa giocarsi le sue carte. È la transizione digitale, bellezza. E non si lascerà indietro nessuno, mi ripeto. Ho persino letto tutte le istruzioni possibili e immaginabili per compilare la domanda. Sono pronto, sicuro. E in anticipo. Ovviamente mi sbagliavo.
Ore 14.15: dopo mezz’ora su una panchina, desisto. Non riesco proprio ad entrare nel sito. Lo Spid mi rimanda sempre a un link del Cas… Central Authentication Center. Centri estivi? Nemmeno l’ombra. E sì che la temperatura è piuttosto mite. Mi incammino lungo via Indipendenza con lo sguardo fisso sullo schermo dello smartphone. C’è sempre un portico pronto a consolare da ogni frustrazione e a proteggere noi pedoni distratti da questa vita spericolata perennemente altrove. Automi.
Il caricamento della pagina, intanto, ha la velocità del bradipo di Zootropolis all’ufficio della motorizzazione. Si chiama Flash. L’ho visto la sera prima. Il film racconta di una città di animali in cui si vive tutti nella concordia, predatori e prede, finché qualcuno non regredisce allo stato brado. Selvaggio e feroce. La perdita di senno. Un presagio? Welcome to the jungle… Arrivo in piazza VIII agosto, scendo nel parcheggio sotterraneo, prendo la macchina e torno a casa. Lo smartphone è ancora inchiodato. La batteria piange dalla fatica. Penso a Marx, Freud, Hobbes e l’homo homini lupus, la società liquida… Straniamento assoluto. Sui social, intanto, nei gruppi di genitori è già scattato il complottismo spinto. Chi sarà stato il primo della lista ad avercela fatta? Si vagheggiano poteri forti. C’è chi giura di aver visto cose che noi umani…
Ore 14.40. Home sweet home. Provo finalmente anch’io da notebook. Armi pari. Ora anch’io gioco in casa, a noi due… O meglio, a noi due-tre-quattro-cinquemila genitori tutti nello stesso limbo virtuale, come color che son sospesi: li immagino come migliaia di zombie nel video di una canzone di Moby di cui però non ricordo il titolo. Ci sono dentro anch’io. Massima solidarietà. Ma ho altro a cui pensare. Non c’è spazio per pietismi di sorta. Quando il gioco si fa duro…non entro neanche da qui. Tento escamotage di ogni tipo: scongiuri, scaramanzie, macumbe. Le mie dita incrociate ormai hanno bisogno di un ortopedico per disincastrasi. Ci sarà fila anche al Rizzoli? Il tempo passa, lento e inesorabile. Ma la processione non cammina.
Poi spunta un raggio di luce in fondo al tunnel. Riesco a entrare. Lo Spid va… Spid Gonzales! Sono 1300erottesimo, con più di un’ora d’attesa stimata nella celeberrima “Waiting room”, che poi è un po’ una “Waiting for the Sun”… Le porte della percezione. Okay, aspetto. Faccio finta di avere tempo da perdere. Sembrava la fine, è solo un altro inizio. C’est la vie, dicono en France. O c’est l’enfer? “Per me si va fra la perduta gente”. Porte e portali.
Ore 15.30. Ma il piccolo è da andare a prendere a scuola? E poi anche la grande? Ohibò… Amleto aiutami tu, ti prego. Essere o non essere? Spegnere o non spegnere? Uscire o lasciare che il mondo reale faccia il suo corso senza di me, inchiodato in questo girone virtuale? Ho deciso: lascio il pc acceso, esco e vado a prendere i bimbi. Due scuole diverse, a piedi e in macchina. I due tesoretti si vogliono fermare al parco. Ma davero state a di’? Non scherzano affatto. E io più tardi ho anche un impegno da un’altra parte della città. Mission impossible. Però mi consolo: Ero 1.300rottesimo, messo anche in pausa dal sistema… hashtag: #celapossofare.
Ore 19. Ritorno a casa e il dramma si consuma. Il pc è entrato in stand by. Schermo nero. Così, de botto. Errore da principiante. Compaiono demoni personali: “Anche stavolta hai fallito”. Allucinazioni, smarrimento e senso di colpa. Bisogna saper perdere. O rinunciare a qualcosa nella vita. Ora le persone davanti a me sono più di duemila, ma il tempo d’attesa è inferiore all’ora. Mistero della fede. Aspetto. Non posso fare altro. No panic. Ho anch’io un giorno di ferie per tutto ciò. L’Odissea dura molto di più. Decenni se non ricordo male.
Ore 19.56. Ci siamo quasi. Incredibile. Manca meno di un minuto al mio turno. Dammi solo un minuto/ Un soffio di fiato/ Un attimo ancora… Sono dentro? Sogno o son desto? Ho 45 minuti per compilare la domanda. E ho tutto sotto controllo. Non riesco a crederci. In 45 minuti, d’altronde, si può vincere anche un Mondiale. Basta non sbagliare nei momenti decisivi. Incredibile bis, tutto fila liscio. Evito ogni trappola del modulo. Sui social nel corso del pomeriggio le hanno praticamente elencate tutte. People of the power. Alla modica cifra di sei ore d’attesa posso finalmente dire di avercela fatta. Bestiale!
Nessun merito, sia chiaro, solo fattore C. Senza quello, d’altronde, non si va da nessuna parte. Pero vai col liscio, allora! Eccedo in un’iperbole di felicità (tanto per restare in tema). Ma la gioia dura solo un secondo. Poi subentra il dubbio. Ci sarà posto? Incubo. Potenziale Catastrofe. Cataclisma familiare. Meglio non pensarci. Non resta che aspettare una risposta via mail. Aspettando Godot si può scrivere un’opera teatrale, ma aspettando una risposta si può addirittura assistere a un dramma collettivo. Impagabile. Ah no, da qualche parte ci sarà di certo un Iban… La vita, quando passa, lascia sempre il conto. E c’è vita al di là di uno schermo. Dovrei già averlo capito da un pezzo. Ma devo ricordamelo più spesso. Soprattutto se l’iscrizione non andrà in porto. Overbooking.
Splendido