In attesa della manifestazione del 6 maggio, alcune domande alla consigliera comunale Pd e dirigente Ausl sullo stato di salute del sistema sanitario cittadino e regionale, sempre più sotto pressione per i tagli di spesa e la carenza di personale
di Barbara Beghelli, giornalista
Bologna è sempre stata un fiore all’occhiello della sanità pubblica: eccellenze ospedaliere quali il Sant’Orsola, il Bellaria, il Rizzoli, il Maggiore sono note in tutto lo Stivale, tanti pazienti da tutta Italia fanno tappa qui per patologie importanti, ma da qualche tempo qualcosa non va.
Gli stessi dipendenti ospedalieri di ogni ordine e grado lamentano situazioni particolarmente pesanti: medici, infermieri, tecnici amministrativi, titolari di ricerca. Il Pnrr, con il passaggio da Casa della Salute a Casa della Comunità, consentirà di migliorare la qualità di tutti i servizi offerti promuovendo un approccio integrato con il settore sociale: ma forse adesso come adesso non basta più. Ne parliamo con Roberta Toschi, consigliera comunale Pd, dirigente sanitaria, presidente della 5^ commissione Salute, welfare, fragilità, politiche per le famiglie.
La Regione Emilia-Romagna ha un disavanzo sanitario stimato in 400 milioni, preoccupazioni che aumentano con il Def, che assegna risorse insufficienti. Problemi a cascata anche sotto le Due Torri.
Il disavanzo attuale dell’Emilia-Romagna, come peraltro avviene in molte altre regioni, deriva prioritariamente da due cause: i mancati ristori delle spese Covid 2021-2022 e l’incremento dei costi di gestione. Se a questo si aggiunge che con il Def la previsione di finanziamento sanitario in rapporto al Pil vedrà già nel 2024 un ritorno a un 6.3%, che è addirittura inferiore al 6.5% del prepandemico 2018, è ben poca cosa rispetto alla media Ocse del 8.8%. Si capisce come sia difficilmente compatibile anche a livello locale.
I sindacati denunciano che le aziende sanitarie sono obbligate a ridurre i costi facendo leva unicamente sul personale e bloccando il turnover.
In passato è sempre accaduto che nella necessità di ridurre i costi venisse utilizzato lo strumento dei tagli lineari al turnover, e questo ha comportato un graduale impoverimento delle dotazioni organiche. Ovviamente i sindacati stanno lanciando un forte grido di allarme, affinché non si persegua questa scelta che metterebbe a serio rischio la tenuta degli ospedali ma anche dei servizi territoriali.
La sanità bolognese è in subbuglio. In attesa della manifestazione del 6 maggio, anche il Rizzoli è stato al centro della protesta: causa il mancato turnover al 50%, il rischio è che in tre anni manchino all’appello 1.800 operatori.
Questo scenario è da evitare ed è fortemente legato al tema del finanziamento. La demografia ci parla di comunità che stanno invecchiando senza grandi supporti familiari, incredibile dunque ipotizzare che tutto ciò avvenga senza professionisti sanitari competenti e soprattutto senza una sanità pubblica alla portata di tutti.
L’emergenza dei pronto soccorso: quale la soluzione per il Maggiore, per esempio, dove si attendono in media 12 ore?
Il tema è multifattoriale, richiede un’opera di rilettura dei bisogni dei pazienti in modo da intervenire alla fonte dei problemi. Una parte di soluzione, che vale per il Maggiore ma non solo, può essere quello di differenziare la risposta alle situazioni di emergenza-urgenza, offrendo una soluzione diversa per i cosiddetti codici bianchi e verdi.
Rafforzare la sanità territoriale: a Bologna cosa si sta facendo?
A Bologna e nell’area metropolitana abbiamo anche le Case di Comunità, che sono 21, dove le persone trovano risposte per bisogni di assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale. Sono sedi dell’assistenza di prossimità, ben identificabili e raggiungibili, dove lavorano ottimi professionisti in maniera integrata offrendo alle persone risposte complete; ma sono anche il luogo di partecipazione della comunità locale: associazioni di cittadini, pazienti, caregiver, volontariato.
Come si risponde in maniera concreta alle richieste di assistenza delle persone che convivono con condizioni di fragilità sociosanitaria e di cronicità?
La fragilità e la cronicità richiedono una grande capacità di adattamento delle persone e delle famiglie, ma per fare questo è importante avere un ‘punto di appoggio’, un riferimento che aiuti a orientarsi nella complessità dei servizi, degli enti e dei percorsi burocratici. A Bologna stiamo formando gli “infermieri di famiglia e comunità”, che possono ricoprire questo ruolo di congiunzione e orientamento proprio a favore delle persone fragili per la gestione di situazioni che, lasciate a se stesse, rischiano di non trovare un punto di equilibrio.
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