In viaggio con la beat generation

Per chi è a Bologna ma ha voglia di sentirsi un po’ a San Francisco, presso la sala “Elisabetta Possati” del Quartiere Santo Stefano è possibile fare un viaggio – anzi decisamente un trip – fino al 21 maggio con la mostra “Psichedelia – Un viaggio nella cultura visiva degli anni Sessanta”, prodotta dalla Cooperativa le Macchine Celibi e dall’associazione BoArt

di Lara De Lena, storica dell’Arte


Tra Optical Art, Surrealismo e accesi revival Art Nouveau, dischi, foto, video, fumetti, rare riviste d’epoca e soprattutto manifesti – tra cui ovviamente molti realizzati dai cosiddetti «Big Five» Wes Wilson, Stanley Mouse, Alton Kelley, Rick Griffin e Victor Moscoso – permettono di ripercorrere la storia dell’estetica psichedelica che, a metà degli anni Sessanta, nel pieno della rivoluzione hippy pervade tutta la cultura pop tra fumetto, poesia, cinema e musica, reiventando una nuova idea di grafica che George Melly ha definito una «Nouveau Art Nouveau». 

Nel percorso espositivo è presente anche un interessante spaccato italiano di quegli anni: Milano con la rivista Pianeta Fresco di Fernanda Pivano, Ettore Sottsass e Allen Ginsberg, e Roma con Mario Schifano, che, sull’esempio di Andy Warhol con i Velvet Underground, fonda nel 1967 Le Stelle di Mario Schifano, per cui realizza la copertina dell’unico LP prodotto, ne diviene l’impresario e l’organizzatore di concerti.

In mostra ci sono i manifesti per i concerti del Fillmore Auditorium e dell’Avalon Ballroom di San Francisco per le prime esibizioni di artisti del calibro di Jimi Hendrix, Janis Joplin, Grateful Dead, Jefferson Airplane, The Doors, Frank Zappa, Pink Floyd e tanti altri nomi entrati nella storia della musica. Tra i «Big Five» è Wes Wilson a essere considerato generalmente il padre del poster psichedelico. Come ha evidenziato lo storico dell’arte Scott B. Montgomery, nel 1965, quando le truppe americane invasero il Vietnam, Wilson creò un poster intitolato Are We Next? Be Aware in cui paragona il governo degli Stati Uniti alla Germania nazista, raffigurando le strisce della bandiera americana con una svastica sovrapposta, riempita di stelle blu e bianche, e segna l’inizio del movimento dei manifesti psichedelici, vere e proprie opere politiche usate come forma di protesta, alimentata dalle forti inclinazioni liberali degli artisti. Questi manifesti attirano il pubblico, tanto che vengono tirati giù dai muri per essere collezionati, diffondendosi a un ritmo non convenzionale per un’epoca ancora molto lontana dalla velocità dei nostri smartphone.

Richard Avedon, The Beatles. Quattro manifesti, 1967 (credits: Nems Enterprises Ltd. Richard Avedon Posters, Inc.).

Questi manifesti provocatori denunciano il comportamento fascista del governo. È così che – come si scopre percorrendo la mostra – il manifesto, partendo da echi citazionisti di un altro secolo, apre la strada al futuro della cultura di massa, diventando il medium per dare forma a un altro fare artistico.

Attraverso il percorso possiamo visitare metaforicamente l’Ufo Club, il locale della Londra psichedelica frequentato da artisti come Yoko Ono, dove si tenevano concerti accompagnati dai lights show, giochi di luci ottenuti mescolando liquidi colorati tra lastre trasparenti sopra lavagne luminose, proiezioni di film d’arte (Bunuel, Dalì) e luci stroboscopiche. 

Sempre a Londra nel 1967 i Beatles chiesero al fotografo Richard Avedon di fotografarli per la promozione del loro ottavo album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Le foto di Avedon furono manipolate in chiave psichedelica dal grafico Hallen Hurlburt, realizzando quattro poster che vennero pubblicati contemporaneamente su riviste di vari paesi, Look negli Stati Uniti, The Daily Express nel Regno Unito e Stern Magazine in Europa. Oggi questi manifesti fanno parte delle collezioni permanenti di importanti Musei, come il MOMA di New York o il Victoria&Albert Museum di Londra.

«Leggere un manifesto divenne sempre più un’avventura che rappresentava visivamente la consapevolezza e l’identità psichedelica», continua Montgomery. Si trattava di un modo per guardare dentro di sé, offrendo un nuovo modo di vedere, in modo da poter guardare all’esterno verso ciò che ci circonda.

Wes Wilson, Open Up and See, 1967, J. (credits: Walter Thompson Co.).

L’articolo è stato realizzato per la rivista di CUBo – Circolo Università di Bologna, diretta da Massimiliano Cordeddu. In copertina: Nigel Waymouth, Ufo Club 67, 1967, (credits: Hapshash Screen Print Edition). 


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