Piogge epocali e articoli d’Accademia

Né io né Ardeni possiamo sapere se ci siano colpe individuali o politiche per quanto sta accadendo in questi giorni. Una volta finita l’emergenza sarà la magistratura, e non le nostre rispettive opinioni, a stabilire eventuali responsabilità per quanto successo. Quel che è certo è che aizzare il malcontento contro la politica, mentre la politica è là fuori a cercare di contenere come può il disastro, rischia di apparire un’attività tranciante e ingenerosa

di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB


Non posso purtroppo fare a meno di pensare, da editore e da lettore, che l’ultimo intervento di Ardeni (qui) sulla nostra rivista arrivi nel momento e nel modo meno opportuni.

Di fronte a 100 mm d’acqua in città in 24 ore e ai più di 200 sull’Appennino (qui), non c’è opinione che tenga. E nemmeno argine. E a poco serve raccontarsi, come fa Pier Giorgio, che se fosse stato fatto questo o quello da amministrazioni di ogni forma e colore, il ciclone avrebbe avuto effetti molto più lievi.

Certo è sacrosanto ricordare a tutti noi che catastrofi naturali come quella che stiamo vivendo non sono un caso, bensì la conseguenza di un cambiamento climatico di cui siamo i principali responsabili. Ma lo è altrettanto riconoscere che tanta pioggia, e in così poco tempo, nessuno da queste parti l’aveva vista mai.

Perché sia chiaro, questo non significa pretendere che qualcosa non sia andato storto. Qualunque geologo di questa città, infatti, sa quale sia la portata misera del torrente Ravone, così come qualunque fisico conosce l’equazione di Bernoulli e la legge di Pascal. Pertanto, assumere come si fa da più parti che il solaio di un negozio sia l’unico responsabile di quanto avvenuto in via Saffi è quantomeno un azzardo. Anche senza sapere che i lavori di rafforzamento della conduttura sono già previsti, ma sono (erano?) stati accorpati a quelli, futuri, per il tram.

Quello che invece si dovrebbe pretendere, soprattutto da chi vanta un background accademico, è il rifiuto di luoghi comuni e cliché come base del proprio ragionamento. Da che mi ricordi, a ogni inondazione o frana la tiritera è sempre la stessa: ci si divide tra chi “mai avrebbe immaginato” e chi “l’ha sempre detto”, si indice la caccia alle streghe – o alle nutrie – che hanno causato il disastro, ci si autoaccusa di terrorismo climatico o si dà la colpa all’amministrazione «improvvida». Un dibattito futile e in cui molto spesso, pur di illudersi di avere ragione, si finisce per fare di tutta l’erba un fascio.

Dice bene Ardeni, quando ricorda che la nostra regione è terza in Italia per consumo di suolo: una statistica per cui dobbiamo fare velocemente ammenda, e che senz’altro è concausa dei problemi. Dice male, invece, quando assicura che presidiando e ripopolando la montagna, o controllando ancor di più i fiumi, questi non daranno pensieri.

La Natura non ha bisogno dell’uomo, perlomeno non quanto l’uomo ha bisogno di lei. L’Italia è piena di luoghi un tempo anche molto densamente abitati che una catastrofe, a un certo punto, ha spazzato via. Chi conosce davvero questo Paese, conosce anche queste storie. E poco vale in questi casi la cura dell’uomo se per esempio a Spazzate, nell’Imolese, il Sillaro mercoledì ha esondato nonostante un argine appena ricostruito.

Bologna, vista la sua posizione, fu probabilmente fondata da un saggio. E saggio fu anche chi costruì la Chiusa di Casalecchio, che ancora in questi giorni protegge il centro città. Ma come dimostra l’esondazione del canale Navile – ripulito non più di un anno fa esattamente come chiede a gran voce Ardeni per tutto il territorio – non c’è opera che possa evitare la sorte alla quale, prima o poi, siamo destinati anche noi.

Perché la Natura, al contrario dell’uomo e nonostante i suoi desideri, non si può ammaestrare mai per davvero. Bologna, i suoi amministratori, sembravano averla addirittura domata per decenni, senza un allagamento uno. Fino alla superpioggia di questi giorni, mai vista per quantità e durata concentrata a questi livelli, evento talmente violento da far spuntare critiche feroci alla gestione geologica di un territorio fino all’altro ieri preso a modello.

Infine, né io né Ardeni possiamo sapere se ci siano colpe individuali o politiche per quanto sta accadendo in questi giorni. Una volta finita l’emergenza sarà la magistratura, e non due articoli d’Accademia, a stabilire eventuali responsabilità per quanto successo. Quel che è certo è che aizzare il malcontento contro la politica, mentre la politica è là fuori a cercare di contenere come può il disastro, rischia di apparire un’attività tranciante e ingenerosa, molto più che da studiosi. E non è quello di cui abbiamo bisogno ora.

Photo credits: Stefano Tedioli/Ansa.it


8 pensieri riguardo “Piogge epocali e articoli d’Accademia

  1. Gentile di Biase,
    ho trovato il suo articolo disinformato e irritante. Non posso ribattere punto per punto ma mi limito a segnalare due cose:
    1) un articolo dell’ARPA del 2013, uno studio sul torrente Ravone in cui si fanno delle simulazioni e si spiega che bisogna prendersi cura dei corsi d’acqua per quanto piccoli perché piogge come queste sono eccezionali ma non impossibili. A differenza di quello che lei scrive si sono viste prima. (link: https://www.researchgate.net/publication/260676002_Nubifragi_e_rischio_idraulico_nella_collina_bolognese_il_caso_studio_del_torrente_Ravone) 2) Il prof. Ardeni riporta dati puntuali: la regione ER è terza nella classifica per consumo di suolo, e prima per consumo di suolo in aree alluvionabili; i progetti sono di intensificare e non diminuire la cementificazione (vedi passante); che le zone collinari non sono adeguatamente seguite se non trascurate. A mio avviso giustamente, da questa analisi Ardeni deriva quale sia il modello di sviluppo che il PD persegue (industrialista). Al netto delle politiche sociali e democratiche che vanno riconosciute, se il PD governa l’ER dal dopoguerra e questa regione collassa dopo due giorni di piogge (eccezzionali ma non imprevedibili, vedi articolo ARPA), di chi può essere la responsabilità, se non politica?

  2. Di fronte al terremoto di Lisbona, Voltaire rinunciò alla sua pungente ironia e si mise nei panni di Candide, registrando lo sgomento sia per i disastri della natura che della stupidità umana. Per andare oltre la disperazione e l’autoflafellazione suggeriva di rimettersi al lavoro.
    Mi sembra una intelligente proposta anche per l’ oggi, per superare un momento tragico per uomini e opere.

  3. Caro Di Biase, mi aspettavo un commento più fattuale. Perché dire che criticare la mancata cura del dissesto idro-geologico e la cementificazione è “accademico” fa un po’ cadere le braccia. Tutti gli esperti meteorologi intervistati hanno rilevato questi problemi. Certo, nel dramma, come si dice “non è il caso di fare polemiche”. Ma il compito di un accademico, se non di un giornalista e di un osservatore, è proprio quello di farsi le due domande, sempre: “si poteva evitare?”; “eravamo preparati?”. Ora, intelligenza politica vorrà che da questo si impari, cominciando a dire: meno cementificazione, asfaltazione, più cure degli alvei e del dissesto, meno agricoltura intensiva (vasti campi senza più fossi), vasche di compensazione, raccolta delle acque, etcetera, etcetera, etcetera. In goni evento, per quanto eccezionale, si sono sempre responsabilità. Poi, certo, ci sarà chi dirà che “non siamo stati messi nelle condizioni di intervenire” e amenità del genere. Ma la logica dell’evento eccezionale – che nega in un sol colpo responsabilità politiche e cambiamento climatico – non ci porterà lontano. Un saluto

  4. p.s. e poi, che c’entra la magistratura? metterla su quel piano non porta da nessuna parte. sono questioni politiche, che riguardano le politiche, queste

  5. A me non sembra che l’articolo di Ardeni intenda “aizzare il malcontento”, ma di unire alcuni puntini che spesso restano macchioline isolate su un foglio bianco, soprattutto nella mente e nelle azioni della classe politica. Se si ammette che “è sacrosanto ricordare a tutti noi che catastrofi naturali come quella che stiamo vivendo non sono un caso, bensì la conseguenza di un cambiamento climatico di cui siamo i principali responsabili”, non dovrebbero esserci difficoltà ad ammettere che perseverare ostinatamente sul sentiero che ha innescato la crisi climatica è una scelta irrazionale e disastrosa.
    E questa ostinazione non è frutto del caso, della sfiga o di Giove Pluvio, ma di precise scelte politiche che mirano a conservare ed espandere oltre ogni ragionevolezza un modello di sviluppo insostenibile.
    In calce alla legge regionale sul consumo di suolo, che consente di cementificare un’ulteriore frazione di territorio oltre a quella già pianificata, non c’è la firma della dea Fortuna, ma quella di Stefano Bonaccini. A esultare per l’arrivo del rigassificatore di Ravenna e per la ripresa delle trivellazioni in Adriatico è un’intera classe politica, che è poi la stessa che promuove a pieni voti nuove autostrade, nuovi poli logistici su terreni fertili, nuovi distributori di benzina su suolo agricolo, cioè nuovo consumo di suolo e nuova linfa per l’industria dei combustibili fossili.
    Infine, trovo molto discutibile irridere gli “articoli di Accademia”, quasi fossero un inutile e fastidioso rumore di fondo, e demandare alla magistratura l’accertamento delle responsabilità.
    Il report periodico dell’IPCC non è altro che un’indagine a vastissimo raggio su “articoli di Accademia” che da decenni mostrano chiaramente le conseguenze del modello di crescita infinita che sta alla base del riscaldamento globale e dei disastri che ne derivano, puntualmente ignorati da una classe politica concentrata molto più a sopravvivere alle prossime elezioni che a tutelare l’interesse pubblico. Anche questa noncuranza di chi governa nei confronti degli studi scientifici è una responsabilità politica, e accertarla non è compito delle procure, ma della società civile nel suo complesso, accademici inclusi.

    1. condivido in pieno quanto detto dal Sig Luca Tassinari le sue preoccupazioni sulle scelte della ns classe politica sono da tempo anche le mie.

  6. Ho apprezzato l’articolo di Ardeni e il confronto con Di Biase. A temi dirimenti per il governo del territorio, non si può rispondere con facili ricette. La solidarietà per le persone che hanno subito le alluvioni e l’impegno per aiutarle non si mettono certo in discussione se si prova ad analizzare le ragioni di queste catastrofi. Purtroppo i problemi del dissesto idrogeologico sono molto datati, così come tutte le sue sciagurate conseguenze! Le vicende liguri e le tante frane che affliggono il paese (anche l’appennino bolognese), lo testimoniano! La cura del territorio passa da un insieme di azioni mirate che riguardano le scelte di pianificazione urbanistica, l’agricoltura (come attività di “custodia” del territorio), l’integrazione dei servizi che si occupano di prevenire il dissesto (Servizi idrici delle Regioni, Consorzi di Bonifica …), gli investimenti. Purtroppo non è una novità che per tutti i livelli di governo è storicamente più “vantaggioso”, ai fini del consenso immediato, stanziare risorse per la spesa corrente piuttosto che per quella in conto capitale! E così negli anni passati, sono mancati piani finanziari e programmi di lungo respiro che si facessero carico del problema nel suo insieme. Nell’appennino bolognese, solo per fare un esempio a noi vicino, molti caseifici hanno chiuso i battenti e con essi gli agricoltori che ne curavano il territorio. Lo spopolamento progressivo della montagna ha favorito smottamenti e frane. In alcuni comuni (anche dell’appennino) si è ecceduto in cementificazione, al punto da rendere il territorio metropolitano troppo impermeabilizzato. C’è stato un ampio dibattito pubblico sull’opportunità di continuare a “cedere” pezzi di territorio al sistema delle costruzioni. Nel passato (mi riferisco gia’ ai primi anni del 2000) ho visto chiudere alcune strade dell’appennino per dei mesi, a causa delle frane che i sindaci non sapevano come fronteggiare coi loro bilanci … E che venivano superate con interventi ad hoc, così fino alla prossima frana! È evidente che non si tratta solo di puntare il dito contro gli errori del passato, ma almeno di analizzarli senza “sconti” per invertire una volta per tutti la rotta!

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