Un nuovo progetto di welfare intergenerazionale

Per onorare la memoria e il pensiero di Flavia Franzoni, venuta improvvisamente a mancare ieri pomeriggio, abbiamo voluto dedicarle la giornata di oggi, ripubblicando gli articoli che ha affidato a Cantiere Bologna

C’è bisogno di alleanze e imprese collettive che richiedono un consolidato ruolo del Pubblico, ma anche tante nuove relazioni comunitarie

di Flavia Franzoni, docente


Troppo spesso nel dibattito politico si avverte la necessità di presentare, con slogan sempre nuovi, proposte e soluzioni che le comunità scientifiche e professionali hanno già non solo elaborato, ma anche realizzato e sperimentato.

Si rischia di ferire, così facendo, chi per anni si è occupato con competenza dei problemi, sottovalutando il contributo offerto al servizio della comunità. Per questo parlare di welfare municipale a Bologna e in Emilia-Romagna richiede innanzitutto di partire dall’impegno che gli operatori e gli amministratori hanno messo in campo per innovare la rete di servizi (sociali, sanitari ed educativi) che proteggono le persone e promuovono una migliore qualità della loro vita.

A Bologna, pur con problemi rimasti da risolvere, negli ultimi anni si è chiesto agli operatori di rapportarsi con il recente assetto delle competenze dei Quartieri, del Comune e dell’Asp Città di Bologna per realizzare un welfare di prossimità e per accompagnare i servizi con un diffuso “lavoro di comunità” capace di creare relazioni tra i cittadini che divengono sostegno per la vita quotidiana di tutti. Ciò in sintonia con i nuovi strumenti offerti dalla riforma del Terzo settore che ha allargato i suoi confini consentendo collaborazioni/co-progettazioni con altri settori come lo sport e la cultura.

E su questo le tante organizzazioni che fanno capo alla città metropolitana e al Comune, come l’istituzione Minguzzi o la scuola di Ardigò, insieme ad altri centri di ricerca universitari e privati, hanno avviato negli ultimi anni un costante confronto che ha certamente fertilizzato l’intero sistema dei servizi e sostenuto la formazione degli operatori. Voglio citare Iress, dove ho lavorato per molto tempo, che da anni propone il lavoro di comunità come elemento fondamentale del servizio sociale territoriale.

Gli strumenti di lavoro ci sono tutti e non si devono perciò chiedere ulteriori rivolgimenti istituzionali che affaticano il lavoro quotidiano. Si deve chiedere di perfezionare l’impianto che si è impostato, che vede collaborare pubblico e privato in tantissimi progetti.

L’obiettivo nuovo deve essere quello di amalgamare le diverse esperienze, a volte troppo frammentate, e chiedersi quante persone o gruppi restino tuttavia fuori dal radar dei servizi strutturati, ma anche dalle iniziative comunitarie che dovrebbero saper intercettare le grandi solitudini che ancora sono nascoste nella nostra città.

Dall’emergenza Coronavirus abbiamo imparato, per esempio, che i tantissimi anziani fragili erano soli e in condizioni abitative per loro molto difficili. L’assistenza domiciliare dovrà quindi potersi fondare su un diverso modo di abitare e le politiche abitative e sociali dovranno essere strettamente connesse tra loro. In primo luogo per quanto riguarda l’assistenza domiciliare, per cui esistono specifici finanziamenti del Pnrr. L’assistente domiciliare di condominio e l’infermiere di territorio sono sperimentazioni da continuare.

E se è pur vero che gli anziani devono potere vivere il più possibile nella propria casa, senza pesare troppo sui caregiver, lo sguardo da un lato al futuro della condizione degli anziani non autosufficienti, e dall’altro alla struttura delle famiglie più giovani che con più difficoltà si potranno far carico della loro cura, richiede di rivedere l’assetto dell’assistenza nelle residenze protette (ex-Rsa, ora Cra nella nostra Regione) di cui l’epidemia Covid ha messo a nudo la fragilità.

Il Pnrr pone minor attenzione a questo tema, tuttavia sia le residenze per anziani che l’assistenza domiciliare debbono essere considerati i due nodi della rete che garantiscono la continuità della presa in carico dell’anziano. È qui che si ripropone il tema della sanità territoriale e del suo coordinamento con gli interventi sociali. Le Case della salute, indicate nel Pnrr come “Case di comunità”, non devono essere semplicemente poliambulatori efficienti ma devono poter garantire la continuità assistenziale attraverso la medicina di prossimità e la medicina di iniziativa orientata alla prevenzione.

Povertà educativa
Lo sconvolgimento dell’organizzazione della vita dei ragazzi conseguente alla pandemia, in particolare la formazione a distanza, ha reso evidente ancora una volta le profonde diseguaglianze nella qualità della vita dei minori e come anche nei nostri ricchi territori si debba affrontare il problema della povertà educativa, soprattutto degli adolescenti.

I nidi sono la prima tappa della prevenzione della povertà educativa: deve continuare l’impegno per l’espansione del numero di posti e per la qualità pedagogica. Ma occorre valorizzare le tante iniziative di sostegno alle scuole e i tantissimi progetti per bambini e adolescenti gestiti nel tempo extra scolastico da organizzazioni di terzo settore operanti nel sociale, nello sport e nella cultura.

Attività che necessitano di più risorse, ma che richiedono soprattutto di essere considerate in una visione di insieme in cui la regia, pur leggera, della scuola e degli enti locali, consenta di individuare le vere esigenze dei più giovani, con particolare attenzione alla socializzazione e all’apprendimento dei bambini e dei ragazzi stranieri.

Per i ragazzi immigrati più grandi e i recentemente immigrati sarebbero utili per esempio progetti di formazione che partano dalla identificazione delle loro competenze eventualmente acquisite nei loro territori di partenza per orientarli rispetto all’offerta del lavoro locale (si pensi per esempio alle competenze tecniche della meccanica).

Tante le fragilità a cui le istituzioni devono ulteriori risposte specifiche mirate all’inserimento sociale e lavorativo. L’idea fondamentale è quella di un welfare non “compassionevole”, ma che nasce dal rispetto dei diritti alla salute, all’istruzione e ad un minimo di benessere economico.

Quanti restano tuttavia fuori dal radar delle politiche sociali? Per arrivare a tutti si deve affrontare il problema della rappresentazione e della rappresentanza della comunità degli sconosciuti.

Non sempre i modelli partecipativi sanno estendere la loro azione al di fuori del pur ricco mondo delle organizzazioni di terzo settore. C’è bisogno di alleanze e imprese collettive che richiedono un consolidato ruolo del Pubblico, ma anche tante nuove relazioni comunitarie. C’è soprattutto bisogno di valorizzare gli operatori perché attraverso il loro lavoro, sempre più complesso, che si stabilisce un rapporto di fiducia con le istituzioni.


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