Storia di un’ingiustizia sociale

La vicenda di Derouiche Lassad, migrante disabile e senza fissa dimora detenuto nel carcere della Dozza, è una di quelle che non vorremmo mai sentire. Ingiusta, tormentata, anti-sociale. Che interroga le coscienze e mette a dura prova anche le strutture consolidate del sistema socio assistenziale bolognese

di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB, e Barbara Beghelli, giornalista


È passata sorprendentemente in sordina la storia di Derouiche Lassad, raccontata da “Il Dubbio” qualche giorno fa (qui). Un detenuto tunisino con elevate disabilità neurologiche, un viso deformato a causa della sua infermità e con ritardo mentale, recluso nel carcere di Bologna. Migrante insieme a suo fratello, anche lui affetto da disabilità, che con lui ha attraversato il mare. Lassad è anche un senza fissa dimora, con gravi tare deficitarie ma anche con notevoli difficoltà deambulatorie che una volta condotto in cella, dove dovrebbe scontare un anno per reati quali tentata rapina e resistenza a pubblico ufficiale, ha subito compiuto gesti autolesionistici, tentando infine di impiccarsi. Psicologicamente incapace, lucidamente disperato.

Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, pur senza riconoscere una incompatibilità assoluta delle sue condizioni di salute con il regime detentivo, ha stabilito che la grave infermità fisica avrebbe potuto portare alla concessione di una misura alternativa alla detenzione, se solo ci fosse stata la possibilità di una presa in carico all’esterno. Tuttavia, l’assenza di riferimenti territoriali, così come quella di un alloggio e di qualsiasi fonte di reddito, ha costretto i magistrati a non concedere alcun differimento della pena.

Il 16 giugno, riferisce Il Dubbio, c’è stato un colloquio tra il Garante regionale e il detenuto: da lì è emersa anche una serie di ulteriori preoccupazioni che richiedono approfondite indagini da parte delle autorità competenti. Sempre il Garante regionale ha inviato una segnalazione al Tribunale di Sorveglianza, alla direttrice del carcere di Bologna e al Garante comunale dei detenuti.

Se Rosalba Casella, direttrice del carcere della Dozza, si è detta impossibilitata a rispondere alle nostre domande, il Garante comunale dei detenuti Antonio Ianniello ci ha invece assicurato che la vicenda è conosciuta almeno dal 1 febbraio 2023, quando lui stesso ha inviato una nota protocollata in via principale al settore assistenziale territoriale della sanità regionale. Non perché ci fosse nel merito una diretta competenza sulla materia, ma perché intendeva «allargare il confronto sulla vicenda, nel tentativo di trovare un percorso adeguato all’esterno del carcere, anche nell’ambito del territorio regionale». La medesima nota era indirizzata per conoscenza anche alle magistrate di sorveglianza territorialmente competenti, al Garante regionale e al responsabile della medicina penitenziaria in carcere.

A Bologna, come ci ha confermato Ianniello, esiste una rete esterna di alloggi destinata principalmente «all’inserimento delle persone private della libertà personale, che abbiamo diritto a un’alternativa alla detenzione o che necessitino di sostegno al momento della scarcerazione». Una rete che vede i referenti delle associazioni e delle strutture in collegamento costante con il carcere della Dozza. A oggi, si tratta di «sedici posti letto gestiti dall’associazione A.Vo.C. – su assegnazione a seguito di bando pubblico di immobili in comodato d’uso gratuito da parte del Comune – e di otto posti nella casa per il reinserimento “Don Nozzi”». Eppure, allo stato attuale non è ancora risultato possibile strutturare un percorso all’esterno del carcere per Lassad, per il cui titolo di soggiorno si sta già muovendo l’associazione L’Altro Diritto.

Quello del detenuto della Dozza, purtroppo, non è un caso isolato, per quanto peculiare. Nella sua ultima relazione annuale, il Garante nazionale ha sottolineato il fatto che nel nostro Paese sono 1551 le persone in carcere per scontare una pena – non un residuo di pena – inferiore a un anno e che, pur potendo accedere alle misure alternative, restano in carcere perché senza possibilità di attivare percorsi esterni a causa della loro marginalità sociale.

La storia di Lassad è una di quelle che non vorremmo mai sentire. Ingiusta, tormentata, anti-sociale. Difficile da combattere perché, apparentemente, senza una via d’uscita. Storia di barconi, di disperati che scappano dalle loro terre difficili, dove non si vede futuro. Sfruttamento, violenze e poi la traversata del Mediterraneo pagando un prezzo elevatissimo, spesso con la vita stessa. Bambini o adulti, sani o malati: bisogna andare via, dimenticare quei luoghi, provare a vivere, altrove.

Sempre che quell’altrove, poi, sia disposto ad accoglierli davvero.

Photo credits: Ansa.it


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