Zaki. Regeni. Assange

La libertà di opinione è sacra. Patrick è libero, e giustamente chiede giustizia per Giulio Regeni, assassinato da chi esclude questo diritto. Bologna ora dovrebbe battersi perché Julian sia giudicato da uomo libero, sottratto al suo carcere. Il dovere di informare è categorico per un giornalista. Il collega australiano ha svelato segreti militari Usa. Se è un eroe Andrea Purgatori, e lo è, perché rivelò che il Dc9 caduto su Ustica fu abbattuto durante una battaglia aerea, il collega australiano non può essere trattato come un criminale

di Giampiero Moscato, direttore cB


Le battaglie di libertà, soprattutto a tutela della libertà di espressione, sono manifestazioni di democrazia per le quali ogni cittadino dovrebbe provare gratitudine.

Non tutta l’umanità sembra invece rendersi conto che battersi per Patrick Zaki, chiedere con forza all’Egitto di restituirlo alla sua città d’adozione, Bologna, è un atto che non riguarda solo lo studente egiziano dell’Alma Mater ma proprio ciascuno di noi.

I social network sono lo strumento più formidabile che il progresso ha offerto a tutti per avere un libero accesso all’informazione e una platea in cui esprimere, senza restrizioni, il nostro diritto a dire ciò che pensiamo. Eppure tantissimi usano questo diritto per esprimere parole di disprezzo, quando non di odio, non solo verso Zaki ma anche contro tutti coloro che, politica e informazione in primis, si sono spesi per contestare la giurisdizione di uno Stato che manda in galera chi critica il suo sistema politico.

È stupefacente leggere il fastidio di troppi verso questa liberazione (con atto di imperio, la grazia del presidente Al Sisi) che è frutto di una pressione che le istituzioni bolognesi per prime, dal Comune all’Ateneo, ma anche i governi che si sono occupati del caso (e va riconosciuto che l’Esecutivo di Giorgia Meloni ha grandi meriti) hanno esercitato nei confronti dell’Egitto. A parte il fatto che le notizie sono tali sia che ci piacciano sia che ci diano fastidio, nella libertà di opinione è contemplata pure la libertà di girare pagina quando una storia non ci interessa. Ma davvero non si riesce a comprendere che Zaki è un simbolo? Che quello che è capitato a lui dovrebbe preoccupare tutti? Invece si leggono parole di disprezzo verso lo studente e verso chi lo ha sostenuto.

Certo, qualcuno può pensare (da noi si è liberi di farlo, grazie al cielo e soprattutto a Santa Costituzione) che il suo rifiuto del volo di Stato, correttamente offerto dal Governo Meloni, possa essere un gesto sbagliato. Ma siamo certi che se lo avesse accettato sarebbe stato deriso, disprezzato e oltraggiato per avere scroccato un volo.

Il mondo è bello perché è vario, ma in questi casi è purtroppo monotono: chi è al centro dei fatti della cronaca trova sempre adulatori, odiatori, indifferenti, partecipi. Io ho gioito quando ho saputo che Al Sisi ha rapidamente concesso la grazia a Patrick, ribadendo così la sovranità del suo Stato ma alla fine accontentando tutti. Ho esultato quando ho sentito Zaki ringraziare l’Italia, Meloni compresa, per il fausto esito della sua vicenda. Mi sono commosso quando ha chiesto: «Ora giustizia per Giulio Regeni», assassinato a quanto pare da uomini con la divisa dell’Egitto.

La libertà di un mezzo di informazione come Cantiere Bologna mi consente di mettere in fondo la notizia dalla quale sarei dovuto partire. Bologna giustamente ha fatto molto per il suo studente, Zaki, e l’Italia sta facendo moltissimo per lui e per Regeni. Bene. Io penso che queste due battaglie acquisterebbero anche più valore se la città “più progressista d’Italia”, secondo la felice ma discussa definizione del sindaco Matteo Lepore, mettesse in cantiere una battaglia altrettanto forte e convinta per la libertà di Julian Assange, il giornalista e attivista australiano che è da anni in carcere per avere pubblicato, tramite l’organizzazione divulgativa WikiLeaks, documenti su presunti crimini di guerra, secretati dal Governo degli Stati Uniti, ricevuti dall’ex militare Chelsea Manning.

Non me ne voglia Zaki. Ma qui non c’è in ballo solo la sua (la nostra) libertà di esprimere liberamente critiche sul regime politico di uno Stato, ma il diritto-dovere di informare, che un giornalista ha (dovrebbe avere) tatuato sulla pelle. Il mio non è un giudizio giuridico. Quel giudizio spetta ai giudici. È un giudizio politico. Un giornalista se ha una notizia non solo può, ma deve pubblicarla.

So perfettamente, nessuno pensi di dirmi qualcosa che non so, che esistono limiti nell’informazione. Un esempio per spiegarmi. Se vengo a sapere che stanno per arrestare gli assassini di Regeni, e lo scrivo prima che l’arresto venga eseguito, commetto un fatto grave perché metto in condizione gli assassini di sapere cosa gli spetta e dunque li aiuto a fuggire. Assange sicuramente ha fatto un gesto dirompente, mettendo a rischio la sicurezza di una potenza militare. Ma non è quello che ci aspettiamo dai giornalisti? Non è in qualche modo proprio quello che ha fatto nella sua strepitosa carriera il collega e amico Andrea Purgatori, giustamente celebrato in questi giorni seguiti alla sua prematura scomparsa per non avere accettato un segreto militare? Un segreto in base al quale il Dc9 Itavia precipitato nel volo da Bologna a Palermo nei mari di Ustica sarebbe caduto per cedimento strutturale.

Se Andrea Purgatori è un eroe del giornalismo, e lo è, allora tutti quelli che amano la libertà di opinione e un’informazione libera devono battersi perché Assange sia certamente processato (siamo tutti soggetti alla legge) ma nella condizione di uomo libero.


3 pensieri riguardo “Zaki. Regeni. Assange

  1. La libertà per Assange dovrebbe riguardare tutta Italia, così come avviene per la richiesta di verità e giustizia per Giulio 🙏

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