Una sala stracolma per la presentazione di Cantiere Bologna all’Auditorium Biagi. Il consiglio di Marco Damilano: “Agitate le acque, coprite questa assoluta mancanza di idee”. E la sardina Santori: “Contaminateci, e basta con la troppa gelosia che c’è a sinistra”.
di Federico Del Prete, giornalista
Diceva Freak Antoni che in Italia non c’è gusto a essere intelligenti. Non ci sarà gusto, ma c’è bisogno. E non solo di essere intelligenti, ma anche dialoganti, tolleranti, curiosanti, manifestanti e perché no, pure sorridenti. Un bisogno che ha portato in centinaia ad affollare l’evento numero zero di Cantiere Bologna all’Auditorium Biagi di Sala Borsa. Tutto esaurito in platea e decine di persone rimaste fuori, perché di spazio non ce n’era più. E tutti a chiedersi, insieme ai due ospiti Marco Damilano – direttore dell’Espresso – e Mattia Santori – fondatore delle sardine – da dove ricominciare per recuperare una politica di contenuti e di cambiamento, al posto di quella di slogan e polemiche che si ripete come un infinito giorno della marmotta e non lascia traccia. Una politica di idee, insomma, che torni finalmente incontro e non uno sterile scontro.
Prima di entrare nel vivo, Damilano ha voluto ricordare Antonio Ramenghi, l’ideatore del progetto Cantiere Bologna, davanti alla moglie del giornalista, Rossella, e ai figli Alice e Tommaso: “Devo dirgli grazie per tutto quello che ha fatto per me e lo faccio in pubblico per la prima volta”. E ha ricordato “quel primo colloquio di lavoro con lui, Giulio Anselmi e Giampaolo Pansa”. L’intuizione di Ramenghi è oggi ancora più attuale: “Sì, perché da molti anni ci siamo dimenticati di ‘tornare a pensare la politica’ e di ‘dare a chi amministra una cultura politica”, ha sottolineato Damilano, ricordando che “per tanto tempo abbiamo pensato che la politica fosse solo una buona amministrazione o nella peggiore delle ipotesi l’abbiamo trasformata in ‘antipolitica’, che alla fine non era altro che gente diversa candidata a occupare le stesse poltrone”. In questo contesto, ben venga l’apparizione delle sardine: “Non vogliono essere una massa, ma una moltitudine, che è il suo contrario: non un insieme informe in cui tutti siamo la stessa cosa e nemmeno il suo opposto, un’unica figura che non è legata a nessuno e pensa di risolvere tutto col proprio narcisismo”. Santori ha ripercorso la parabola di questi tre mesi: “Ci siamo accorti che è molto più facile fare politica senza una casacca di partito che con. C’era uno spazio vuoto e c’era bisogno di occuparlo prima che lo facesse qualcun altro, rivitalizzando quella moltitudine e spingendola verso la politica”. La parola chiave: “Responsabilità”, perché “dopo tanti anni di Cinque Stelle e di snobismo di sinistra, ci eravamo abituati a chiederle solo a chi stava sopra e non a noi stessi”.
Nel decadimento della politica ci sono anche tante colpe della sinistra. Damilano l’ha sintetizzata così: “I suoi partiti si sono fatti più chiusi, più asfittici. La sinistra si è preoccupata molto del come, straparlando di regole e di primarie e di statuti, ma non del cosa, mentre la destra si dava un’ideologia molto forte e ne parlava in continuazione”. Se vuole recuperare il terreno perduto, insomma, “bisogna lavorare non solo nei giorni festivi, quando c’è la campagna elettorale, ma anche in quelli feriali, quando bisogna andare dalle persone normali, e oggi la politica è fatta solo da persone che la vivono nei primi”. Nel successo delle sardine c’è anche questo aspetto: un linguaggio nuovo, allo stesso tempo più fresco e più complesso. Più politico, dunque. “Il tema cardine è mantenere quella spontaneità senza cadere nell’anarchia più totale”, ha ammesso Santori: “Riceviamo moltissimi input e l’80% è irrealizzabile, perché non possiamo risolvere tutti i problemi del mondo, ma in quel 20% ci sono competenze, input, suggerimenti: ecco, l’obiettivo è caricarle tutte e portarle dove si potrà portarle”. Anche se “abbiamo scoperto nel mondo della sinistra un grande problema di gelosia, perché ogni volta che un gruppo sorride, ce n’è un altro che si lamenta: ‘ma come?’”.
La chiusura è per i consigli da offrire a una nuova avventura che parte. “Sorprendete, contaminateci, portate nuove idee”, quello di Santori: “Parliamo sempre di Bologna, ma ci sono tante esperienze da fuori che possiamo copiare”. “Agitate le acque, ma non in modo noioso o stereotipato”, quello di Damilano: “Abbiamo bisogno di luoghi di dove si discuta di politica, non nel senso di posti e poltrone, ma di ciò che manca”, quando, invece, “c’è una polemica continua che copre l’assoluta mancanza di idee”. Dunque, ci vorrebbe proprio una battaglia di idee: “Attenti, però, a non finire come scriveva Benni: Ci fu una grande battaglia di idee e alla fine non ci furono né vincitori, né vinti, né idee”.