Bonaccini: il nuovo Pd deve imparare dall’Emilia

Serve un’iniezione di partecipazione per valorizzare il ruolo della società civile, questa è la lezione delle Sardine. Zingaretti ok, ma intorno a lui occorre una classe dirigente rinnovata. Decisivo nel partito dev’essere il ruolo degli amministratori

di Aldo Balzanelli, giornalista


“Sarà bene che d’ora in avanti il Pd, o come si chiamerà in futuro, faccia finalmente tesoro dell’esperienza emiliana”. Dar vita a una giunta regionale significa trovare un difficile equilibrio tra rappresentanze territoriali, di genere e di appartenenza politica, coniugate possibilmente con le qualità e le attitudini personali degli assessori. Il presidente Stefano Bonaccini ha finito da poche ore il suo lavoro e, riposto il bilancino, che com’è ovvio non ha soddisfatto tutti, appare consapevole che la vittoria ottenuta contro la Lega di Salvini gli assegna una forza e un’autorevolezza destinate a pesare nelle dinamiche dentro e intorno al Partito Democratico. Anche perché lo scarto percentuale è andato al di là delle più ottimistiche previsioni.  Errani nel 2010, in un’altra epoca, con un’avversaria debole e senza Salvini in campo, si affermò con il 52%.

Per la verità, in un angolo del suo studio al diciassettesimo piano della torre della Regione sono accatastati alcuni cartoni da trasloco. Aveva cominciato a preparare le valigie perché non si sa mai? “No, per la verità non ho mai pensato di perdere, anche se non immaginavo che lo scarto sarebbe stato così ampio. È una lezione di cui spero a Roma e nel resto d’Italia si farà tesoro. Abbiamo dimostrato che la destra si può battere, che Salvini non è invincibile. Abbiamo anche sancito che il buongoverno è necessario, ma non basta, occorre un’idea di futuro. Che una coalizione molto larga, aperta al civismo, finisce col premiare il Pd. Che la sinistra deve prendere confidenza con i social; abbiamo ‘interpretato la Bestia’ senza le caratteristiche della Bestia (il team che gestisce i social della Lega, ndr). Infine siamo tornati in piazza, tra la gente, costringendo Salvini, e qui è stato fondamentale il ruolo delle Sardine, a cambiare la sua campagna elettorale”.

A proposito di Sardine. Cosa ha insegnato la campagna elettorale appena conclusa sul rapporto tra la politica e la società civile?

“Io non ho mai creduto a una società civile buona contrapposta a una politica cattiva. Chi viene eletto rappresenta il suo elettorato e viceversa. La crisi della rappresentanza e della partecipazione però ha trasformato i partiti più in comitati elettorali che in strumenti di alfabetizzazione democratica. I miei genitori sono stati da sempre militanti dai tempi del Pci in poi, ma non si sono mai candidati a nulla, anche se avrebbero potuto farlo in un comune piccolo com’è Campogalliano. Ma hanno sempre partecipato alla vita politica, pensando che il loro ruolo era comunque utile. Ecco, probabilmente occorre ripescare questo genere di atteggiamento, questo impegno che non è finalizzato alla carriera, ma a cercare di contribuire al bene comune. Che è poi l’atteggiamento di tanti che hanno raccolto l’appello delle Sardine”.

D’accordo, ma come si fa? Le nuove tecnologie, i social media, hanno cambiato in profondità le dinamiche del fare politica.

“Quello che serve è un’iniezione di partecipazione. Le Sardine da questo punto di vista hanno dimostrato che esiste un sacco di gente che ha voglia di partecipare, di impegnarsi. Che è disposta ad alzarsi dal divano, come dicono loro. Anche la vostra esperienza di Cantiere Bologna va in questa direzione. È un progetto che apprezzo molto perché potrete dare un contributo di approfondimento e partecipazione. Purtroppo il centro sinistra da tempo non chiamava più la gente in piazza. Io stesso sono stato criticato quando ho proposto di aprire la campagna elettorale in Piazza Maggiore. Qualcuno ha cercato di dissuadermi dicendo che sarebbe stato un flop. Io ho risposto che se avevamo paura era meglio che smettessimo di fare politica. La classe dirigente si vede quando piove, non quando c’è il sole”.

Le piazze però le riempie anche la destra.

“Vero. Se c’è una cosa che invidio a Salvini è la sua capacità di andare in piazza, in mezzo alla gente, tutti i giorni, senza scoraggiarsi mai. Ma detto questo la partecipazione non basta se non c’è qualità di democrazia”.

In passato la sinistra ha pensato di risolvere il rapporto tra la politica e la società civile con gli “indipendenti”, ma l’operazione si limitava a far posto a personaggi autorevoli in un collegio sicuro. Nessuno di loro però ha contato mai nulla nelle dinamiche e nelle decisioni importanti del partito. Il metro per valutare l’apertura di una forza politica alla società civile è invece la disponibilità a cedere sovranità.

“Condivido in pieno. Il che non toglie nulla al bisogno di intellettuali e, per quanto mi riguarda, credo che la scelta di Elly Schlein, Mauro Felicori e della prorettrice di Cesena Paola Salomoni vada interpretata proprio in questa direzione. Io credo che Zingaretti abbia ben presente che occorre aprire le assise alle idee e alla società reale. L’unica cosa che mi lascia perplesso è fare tutto in tempi così brevi, visto che tra poco avremo sei Regioni al voto, ma Nicola ha capito quale sia l’esigenza e io lo sosterrò”.

Sarà la volta in cui l’Emilia, che è sempre stata considerata prevalentemente un serbatoio di voti, ma non ha mai avuto un ruolo importante nella direzione del Pci-Pds-Ds-Pd, conterà finalmente qualcosa?

“Spero proprio di sì. Abbiamo bisogno di un Pd che sia intorno al 30% e serve una nuova classe dirigente che attorno al segretario rappresenti di più i territori.  Credo molto nel ruolo che possono avere da questo punto di vista gli amministratori. Ce ne sono tanti di bravi in giro per l’Italia e hanno certamente una sensibilità più attenta ai bisogni delle persone. Spero per esempio che si copi il modello emiliano sul patto per il lavoro. Insomma serve un Pd che se entra in un bar sia capace di ascoltare e dare risposte”.

Bisognerebbe intanto che cominciasse con l’entrare nei bar e non restare chiuso nelle segrete stanze… Comunque, mi tolga una curiosità. Come concilia il fatto di essere definito un grande mediatore, capace di tenere insieme senza traumi una coalizione molto ampia e contemporaneamente indicato come renziano, quindi decisamente divisivo? Anche la nuova maggioranza in Regione è molto ampia e, passati gli entusiasmi per lo scampato pericolo, non sarà facile da gestire.

“La mia storia politica dice che sono uno che ha sempre unito, credo che questa sia una delle mie migliori caratteristiche. Quando sono stato eletto segretario regionale del Pd, ho vinto le primarie contro Bastico e Casadei, ma il giorno dopo li ho portati con me in segreteria inaugurando una gestione unitaria durata sei anni. Anche la giunta degli scorsi cinque anni non ha mai avuto scossoni all’esterno. Si discuteva, è ovvio, non sempre tutti erano d’accordo su tutto, ma la stella polare era il programma che avevamo sottoscritto tutti assieme e dopo aver discusso, anche litigato, quando si usciva, si parlava con una voce sola. Quello che dovrebbe imparare a fare il Pd a livello nazionale. Un’altra lezione da imparare dall’Emilia”.  


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