Un linguaggio per una nuova sinistra da Jeremy Corbyn, che perde, a Elly Schlein, che vince
di Pier Francesco Di Biase, studente
A quel grande romanzo d’appendice che è di fatto la Brexit bisognerebbe riconoscere il merito – tra gli innumerevoli difetti – di aver permesso di riversare barili d’inchiostro sulle pagine che la letteratura d’opinione coeva ha dedicato alla cronaca e alla critica di questa melodrammatica vicenda politica. Ma se da un lato ci si può rallegrare dell’incredibile sostegno che il governo di Sua Maestà britannica ha indirettamente concesso all’industria editoriale mondiale – in tempi di crisi non è poco – dall’altro tocca sfortunatamente battersi il petto e latrare come rèpute martanesi, rinomate prefiche singhiozzanti, contemplando il vasto assortimento di miserie umane che la vicenda ci ha offerto quasi quotidianamente negli ultimi quattro anni. Tra le tante, la miseria che ci sta più a cuore è senza dubbio quella legata alle peripezie del povero Honourable Gentleman Jeremy Bernard Corbyn da Chippenham, Wiltshire.
Eletto tra le file parlamentari del Labour Party all’apogeo del regno di Margaret Thatcher – era il 1983 – il compagno ed ex sindacalista Jeremy è da sempre un esponente della hard left del suo partito e del gruppo interno Socialist Campaign Group che questa corrente (sic!) esprime. Ammiratore sincero del pensiero marxiano, anti monarchico pacifista e ambientalista con ricadute familiari (il fratello Piers è un astrofisico “clima-scettico”, immaginiamo la tensione ai pranzi di natale), l’elenco delle sue posizioni politiche ricalca l’immagine dell’idealtipo socialista e anti sistemico, un prodotto ormai vendibilissimo anche nel Regno che fece da culla per l’invenzione del sistema economico capitalistico tutt’oggi imperante.
Intendiamoci, non è certamente colpa del compagno Jeremy se i suoi condivisi e nobilissimi ideali vengono masticati ogni giorno – manco fossero “vigorsol”- da orde di voraci figli della società del consumo, né possiamo imputargli la generale e generalizzata attitudine dei contemporanei a dare alle ideologie politiche un peso nettamente inferiore a quello accordato all’ultima campagna pubblicitaria di Armani o Bmw. Ma pur rallegrandoci di tutto cuore con quella larga fetta di elettori britannici che – grazie alla veemente predicazione del profeta Corbyn – ha aderito entusiasta al culto di una teoria politica conosciuta al resto d’Europa da ormai più di 150 anni, non possiamo fare a meno di constatare con malcelata malizia che la divina conversione al socialismo ha toccato il cuore di molti cittadini britannici quando le cose iniziavano a mettersi male anche al di là della Manica, e cioè dopo dieci anni di austerity imposta dai governi conservatori di David Cameron prima, Theresa May poi e del Boris Johnson di questi giorni. Tutti legittimi e regolarmente eletti. Ma tant’è, meglio tardi che mai, no?
In fin dei conti, ognuno deve farsi strada nella vita con quello che trova, e questi sono indubitabilmente tempi di carestia, anche per un idealista d’altri tempi come il compagno Jeremy. Tuttavia, se il saper fare di necessità virtù non è certamente un atto ascrivibile tra le colpe di un uomo, ciò che lascia interdetti è semmai il metodo con cui il compagno ha disposto del consenso che si è così faticosamente guadagnato, soprattutto quando si tratti di argomenti scomodi quali appunto la Brexit, al cui dibattito il nostro ha contribuito principalmente con tre elezioni generali perse nonostante i favori del pronostico e una serie di piroette politiche e parlamentari da étoile grilloleghista navigata. Piroette e acrobazie che hanno infine deviato la leadership di Corbyn sulla strada di un lento e inesorabile declino, culminato con le dimissioni da segretario dei Labour pochi giorni dopo l’ennesima sconfitta nell’”election day” del 12 Dicembre 2019.
Si deve dunque a posizioni così anti sistemiche, insaporite da quel pizzico di salutare euroscetticismo che tanto bene fa a chi ultimamente si presenti come candidato alle urne di ogni mondo e paese, il crescente consenso che, nonostante le sconfitte, l’elettorato britannico ha accordato sin dal 2015 al compagno Jeremy e al suo programma politico. Un consenso fuori e dentro il partito e soprattutto tra i più giovani, che in Inghilterra, come del resto in tutto l’Occidente, sono sempre più spesso lasciati ai margini dell’agenda politica, vittime sacrificali sull’odioso altare delle disuguaglianze.
L’avventura politica di Corbyn ha quindi indubbiamente il merito di aver risvegliato – per fortuna – la coscienza collettiva di molti elettori, non solo britannici, dimostrando che si può dettare l’agenda di una Nuova Politica anche senza essere necessariamente maggioranza assoluta, ma con la sola forza delle proprie idee. A noi rompiscatole continentali, invece, resta l’amara constatazione che – almeno nel Regno Unito – una Sinistra esista e lotti ancora, seppur ripetutamente sconfitta.
Ora, al mero scopo di prevenire ignominiose accuse di tremendismo, giova a chi scrive arruolarsi immantinente tra le file del grande e trasversale Partito dei Paraculo, ricordando che in Emilia-Romagna il Centro-Sinistra (rigorosamente col trattino e con le maiuscole) c’è e ha stravinto le ultime elezioni regionali. Ma se nella regione rossa che più rossa non si può le quattro liste di Sinistra (sigh!) presentatesi alle elezioni sono riuscite a racimolare tutte sommate un misero 4,98%, un problema di rappresentanza nel nostro piccolo ci pare si ponga e sia grande quasi quanto l’ego di Marco Rizzo.
Da anni a questa parte, in effetti, la Sinistra italiana e regionale vive esclusivamente di impeti e guizzi, che non brillano nelle urne e tantomeno hanno la forza di sfociare, lontano dalle elezioni, in un progetto comune in grado di dare al proprio elettorato una prospettiva di lungo respiro. Accade così che ci si affidi alla sorte e alle buone capacità dei singoli, sperando nell’exploit inatteso e nella Grazia divina, magari sottoforma di un Messia caduto non si sa bene come dal cielo. Questo film già visto si è riproposto anche stavolta, con vasto assortimento di liste divise e divisive a fare da sfondo e l’ex eurodeputata Elena ‘Elly’ Schlein, nel ruolo di profetica messaggera, a cantare e portare la croce, in difesa della città assediata dai barbari. Per fortuna o per Grazia – son punti di vista – questa volta l’ha spuntata Lei, in splendida solitudine, parlando di Ambiente, Diritti e Giustizia Sociale. Un programma in fin dei conti non molto diverso da quello proposto pochi mesi or sono da Jeremy Corbyn. Ma tu guarda un po’..
Come i sacerdoti del culto marxista ricorderanno, la storia per sua natura tende a ripetersi sempre due volte: la prima come tragedia e la seconda come farsa. E allora forse è proprio in virtù di questo principio che, al pari del suo omonimo biblico, il Geremia inglese rimarrà conosciuto alle cronache odierne come il profeta dell’ingiustizia sociale sconfitto dal pubblico scetticismo. Elena è un nome che rimanda ad altre tragedie, un po’ troppo lontane nel tempo per esser considerate replicabili. Ciò non di meno – e con un occhio al 2021 – invocheremo per Elly e per noi la divina provvidenza, con buon corredo di gesti apotropaici.
Siamo certi che il lettore comprenderà, nella sua infinita indulgenza.