“Cucine popolari contro le falle del welfare e le derive populiste”

L’intervento di Giovanni Melli, il presidente di Civibo onlus che gestisce la rete di sostegno alle fragilità fondata con Roberto Morgantini e che su Cantiere Bologna avrà uno spazio in più per diffondere la sua filosofia

di Giovanni Melli


Le Cucine Popolari rappresentano l’operatività dell’associazione CIVIBO onlus, associazione di volontariato sociale che fa riferimento ai valori costituzionali di responsabilità civica e di solidarietà a favore delle persone e delle famiglie fragili. L’ideazione di dar vita a questo nuovo manufatto sociale è scaturita dalle riflessioni sugli esiti dirompenti e prolungati della crisi economica, finanziaria e sociale che sta modificando la società mettendo a nudo le lacune di un welfare spiazzato ed inadeguato.  In particolare l’analisi che abbiamo sviluppato si è soffermata sulla fascia crescente di cittadini in esodo, silenzioso e scarsamente intercettato, verso l’impoverimento sia materiale che relazionale. L’attenzione è stata posta principalmente sull’area grigia, sempre più affollata, situata tra il benessere e il disagio e la povertà conclamata. In questa fascia sociale si incrocia la fragilità sociale e si manifestano le nuove povertà; è un’area abitata da cittadini pressoché invisibili agli occhi dei servizi sociali formalmente intesi. Famiglie e persone perennemente sotto sforzo che sprofondano sempre più e per sopravvivere si rivolgono alle caritas parrocchiali, alle Associazioni di volontariato e alle istituzioni filantropiche.

Proprio in questo contesto abbiamo voluto collocare il nostro progetto di associazione laica, aperta, solidale e inclusiva, progetto di dar vita ad una rete di cucine popolari (attualmente tre, prossimamente quattro con il sogno di implementarne una per quartiere) in grado di offrire ai propri ospiti un pasto caldo consumato in compagnia, accoglienza, ascolto e la possibilità di riallacciare e consolidare legami amicali e sociali. Dal luglio 2015, data di inizio delle attività della prima cucina, ad oggi di strada ne abbiamo fatta. Alcuni dati significativi: i pasti che confezioniamo e distribuiamo nelle tre mense hanno superato i 60 mila su base annua, 210 sono le persone che frequentano al giorno le mense, 4 sono i giorni di apertura settimanale, mentre i volontari che ruotano nei turni e coprono le esigenze di cucina, sala, magazzino, approvvigionamenti e lavaggio delle suppellettili sono 186. Una bella scommessa vinta.

La comunità, oggi, si può avvalere di una nuova opportunità di aiuto per le persone e le famiglie che la crisi e le vicende della vita hanno reso fragili ed esposte all’impoverimento ed all’emarginazione.

I punti di forza di questa esperienza sono costituiti innanzitutto dalla scelta di caratterizzare la cucina popolare come mensa di comunità per evitarne l’etichettatura di “mensa dei poveri” . In questa direzione vanno la decisione di non usare piatti e stoviglie usa e getta, ma di apparecchiare come una trattoria, sobria e familiare che affermi la centralità e la dignità di ogni ospite e favorisca la rigenerazione delle relazioni tra le persone.  Quindi non solo cibo materiale è ciò che viene offerto, ma anche l’opportunità di rigenerare la capacità di sviluppare relazioni amicali. Sotto questo aspetto significative sono le esperienze di lettura collettiva dei giornali e gli incontri (ruote) che un gruppo di ospiti fanno quindicinalmente supportati da facilitatori, nei quali liberamente si parla di sé, delle proprie esperienze, emozioni, ecc…

Alla mensa può accedere, oltre alle persone segnalate ed accolte per far fronte a necessità, chiunque intenda consumare un pasto sapendo che il  libero contributo che  lascerà al termine  contribuirà alla sostenibilità perché le risorse necessarie al funzionamento delle cucine  derivano esclusivamente e interamente dall’autofinanziamento sostenuto da donazioni economiche e da donazioni alimentari. Inoltre la presenza di questi amici sostenitori contribuisce anch’essa a evitare lo stigma da mensa dei poveri.

Una seconda scelta che caratterizza questa esperienza è il patrimonio di volontarie e volontari che sono il tratto distintivo e l’orgoglio dell’associazione. Infatti ogni responsabilità e attività dell’associazione e delle cucine popolari si regge sull’apporto volontario di persone diverse per età, per provenienza e per esperienze maturate. Si può affermare che il modello organizzativo si regge sulla partecipazione e sulla responsabilità diffusa.

Un terzo aspetto di rilievo è determinato dal radicamento della cucina popolare nella comunità assunta come dimensione sociale dove costruire reti di relazioni socialmente significative sia con le altre associazioni ed istituzioni pubbliche e private presenti che i servizi sociali e le caritas parrocchiali che condividono il progetto.

Costruire e fare rete è l’impegno che ci siamo assunti per favorire lo sviluppo di una comunità aperta, inclusiva e solidale. Questa è la nostra interpretazione della sussidiarietà circolare a cui facciamo riferimento, fieri della nostra autonomia, ma coerenti con l’impegno di connetterci con le altre esperienze che si muovono sul territorio per fronteggiare in modo attivo le nuove vulnerabilità e povertà, ottimizzando le risorse e promuovendo la cultura della lotta allo spreco alimentare anche attraverso nuovi itinerari in grado di espandere la consapevolezza e la responsabilità sociale e di generare nuove risorse.  

Anche inoltrandoci su questi itinerari possiamo arricchire e articolare le attuali forme della democrazia e contrastare le derive qualunquiste e populiste. È il nostro modo di interessarci del bene comune, di fare politica con la P maiuscola. Non ci soffermiamo a tamponare le falle dei fallimenti del mercato e di un welfare inadeguato e distratto, né ci appaga la buona azione. Vogliamo avere uno sguardo più ampio: porre al centro delle nostre attenzioni le persone fragili, che stanno ai margini per connetterle e inserirle nella comunità, condizione per garantire anche a loro diritti ed opportunità.

Il nostro agire ha bisogno di collocarsi all’interno di un welfare innovato che sappia intercettare, connettere ed orientare le risorse che esistono sul territorio per costruire comunità che si prendono cura. Alle istituzioni pubbliche chiediamo uno sguardo interessato, ma attenzione vera che sappia valorizzare, sostenere ciò che facciamo, che sappiano ascoltare, programmare in modo partecipato, fare e soprattutto assumersi il ruolo di regia. Gli attori sono tanti, ciascuno con le proprie peculiarità e caratteristiche, ma per realizzare qualche cosa di significativo, occorre destinare risorse adeguate, un progetto costruito in modo partecipato ed appunto una regia che sappia sollecitare e valorizzare il meglio di tutti gli attori.


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