Partendo dalla Brexit, passando per Cambridge Analytica, i deepfake delle presidenziali Usa e i condizionamenti di Facebook, si arriva alla necessità di contenitori del discorso pubblico come la nostra rivista online
di Pieraugusto Pozzi, ingegnere autore di ricerche e saggi sul digitale
In occasione della nascita della rivista digitale Cantiere Bologna è
forse utile evidenziare quale ruolo possa avere nello spazio della
politica digitale. Partiamo dal Regno Unito della Brexit,
apparentemente molto lontano da Bologna ma molto più vicino di quanto
la geografia indichi. Mi riferisco all’idea di Boris Johnson (pare su
suggerimento di Dominic Cummings, sulfureo consigliere già artefice di
Brexit) di smantellare, a partire dai meccanismi di finanziamento, il
sistema Bbc, che è stato il modello dell’informazione audiovisiva
pubblica del Novecento cercando di praticare un’informazione non di
parte e validata sotto il profilo dei dati e dei fatti. Capace in
qualche modo di incrementare il livello culturale e di conoscenza del
proprio pubblico non solo quello informativo, come confermavano gli
altri programmi, culturali e di intrattenimento. E che invece, in
linea con varie proposte che in giro per il mondo (democratico o
postdemocratico?) vanno nella direzione di indebolire il servizio
pubblico, dovrebbe diventare un servizio a richiesta e a pagamento,
una sorta di Netflix. Un’idea totalmente coerente con la vocazione
disruptive dei personaggi in questione e soprattutto con l’idea che il
digitale, consentendo forme di produzione, assemblaggio e fruizione di
contenuti informativi personalizzati tolga ragione e motivazione a
qualsiasi palinsesto generale, giornalistico ed editoriale.
Informazione generalista, professionale e strutturata che potrebbe
essere facilmente sostituita dal nuovo ed invisibile monopolio
dell’informazione personalizzata costruita dalle piattaforme digitali,
determinando un ulteriore drammatico vuoto del discorso pubblico a
vantaggio del discorso privato, per definizione profilato ed
ottimizzato per orientare consumatori e cittadini e quasi per nulla
tracciabile e controllabile, come ha insegnato la vicenda Cambridge
Analytica.
Tutto ciò accade mentre la campagna elettorale americana, sul modello
di quella del 2016, sembra diventare sempre più digitale, all’insegna
del micro-targeting. Non tutti gli utenti vedono infatti gli stessi
contenuti perché la profilazione degli utenti da parte delle
piattaforme permette di mostrare messaggi e contenuti politici su
singoli temi (immigrazione, lavoro, diritti civili, sicurezza) proprio
a coloro che ad essi sono singolarmente più sensibili. È questa la
ragione che fa crescere i budget di spesa delle formazioni politiche
sulla rete. Come hanno confermato le recenti elezioni regionali in
Emilia-Romagna, intorno alle quali si è letto un breve articolo online
di Riccardo Luna (Perché il PD snobba Facebook?, Repubblica,
24 gennaio 2020), che rimproverava ai sostenitori di Bonaccini
l’insufficienza delle inserzioni a pagamento veicolate su Facebook.
Siamo quindi in uno spazio politico digitale nel quale si vince se si
è meglio in grado (investendo soldi per orientare profili) di
sfruttare le piattaforme. Come Facebook che, nonostante audizioni ed
inchieste parlamentari in Usa e nel Regno Unito, ha più volte ribadito
la propria posizione sui post politici: ciascun utente ha diritto di
credere a ciò che vuole credere. Come al falso video (deepfake) di
Nancy Pelosi ubriaca condiviso milioni di volte sul social.
Siccome è talvolta utile confrontare le cose piccole con le grandi, in tale
complicato scenario, la vocazione e la funzione di Cantiere Bologna
dovrebbe essere quella di proporsi come un vero contenitore e
amplificatore del discorso pubblico partecipato dal maggior numero di
cittadini. Nel quale il digitale sia lo strumento per ricostruire una
comunità della conoscenza che abbia consapevolezza e coscienza del
presente e del futuro della nostra città.
Sull’uso del digitale come strumento, per lo scopo indicato dalla conclusione dell’articolo, sto cercando di mettere in evidenza dove fu che l’Europa sbagliò strada. Non saprei come sintetizzare il tipo di dialogo che mi sembra necessario avviare. Questa è una delle prove in corso: https://mastodon.uno/web/statuses/103757381833928483
Luigi Bertuzzi
Post Scriptum:
A proposito di questo tipo di considerazioni [sullo stato dell’arte nell’uso del digitale] https://filippoalbertin.vivaldi.net/2020/03/03/il-mainstream-come-ambiente-di-fondo/
Nel 1970 i fisici del CERN non capivano perché si dovevano collegare tra loro computer in luoghi diversi, per metterli in rete
https://docs.google.com/document/d/1VNEldcewjFZkFW_Rrzr7X1D4yECp0MLwYyhyQENQJZE/edit?usp=sharing
Nel 2020 non si capisce perché si dovrebbe uscire dal mainstream –
https://it.wikipedia.org/wiki/Mainstream –
facendo dialogare esperienze esistenziali diverse, per renderle interoperabili.