Vivere, responsabilmente, ai tempi del morbo

Serve un moto d’orgoglio, un risveglio collettivo: fermare Covid-19 è l’obiettivo da condividere, tutti. Ognuno di noi aiuti con quel poco che può chi sta combattendo in prima linea una delle battaglie più dure della nostra storia recente

di Giampiero Moscato


È davvero solo nelle situazioni disperate che l’umanità offre il meglio di sé? Occorre proprio arrivare a quel livello, alla tragedia, perché ognuno di noi assicuri il massimo supporto alla sua comunità? Sarebbe stupido, per non dire suicida. Il momento giusto, anzi doveroso è ora: quando siamo ancora in grado di frenare Covid-19 ed evitare i terribili problemi sanitari, economici e sociali che il suo dilagare comporterebbe. L’Emilia-Romagna sta vivendo oggi quello che la Lombardia viveva sei giorni fa. Abbiamo sei giorni di vantaggio, dicono gli statistici. Un nulla, apparentemente. O un’enormità, se quei sei giorni si sfruttano mettendo il meglio di noi a fianco di chi negli ospedali sta contenendo la forza d’urto del nuovo morbo.

Il Corriere della Sera di oggi, a firma di Marco Imarisio, pubblica un’intervista a un anestesista rianimatore di Bergamo, Christian Salaroli. Parole terribili, dure da leggersi, non serve troppa immaginazione per comprendere quanto siano state dure a dirsi. Il titolo è l’atroce, perfetta sintesi: “Dobbiamo scegliere chi curare e chi no. Come in ogni guerra”. Linguaggio che al primo impatto può sembrare “mengeliano”, ma in realtà è soltanto duro e sofferto, sulle labbra di chi fino a un mese fa avrebbe provato a salvare chiunque fosse arrivato al suo reparto. Non è nazismo alle porte, in questo caso. Piuttosto è lo scenario drammatico di avere pochi posti-letto in rianimazione e troppi malati da intubare a mutare i linguaggi e, purtroppo, gli usi: “Se una persona tra gli 80 e i 95 anni ha una grave insufficienza respiratoria, verosimilmente non procedi”. “Lo lasciate andare?”, chiede attonito Imarisio. “Anche questa è una frase terribile. Ma purtroppo è vera. Non siamo in grado di tentare quelli che si chiamano miracoli. È la realtà”, prosegue stremato il medico. Che a questo punto implora l’unica ricetta che può consentire di limitare gli accessi ai reparti e di non scatenare una lotteria tra chi è giovane e forte e potrà farcela e chi è vecchio e malmesso e va “lasciato andare”.

Una cosa va detta, fermamente. Si usa, nei dispacci delle Asl o del governo e sulla stampa, la formula secondo cui nessuno per ora in Italia sia “morto PER Coronavirus”, ma piuttosto “CON Coronavirus”, perché quelle persone erano “già affette da altre gravi patologie”. È sostanzialmente esatta, tale formula, e in qualche modo alleggerisce il dolore per quei decessi, li rende più sopportabili. Ma, diciamolo, senza il Coronavirus molto probabilmente quelle persone sarebbero ancora vive. Il nuovo morbo ha posto fine alla loro esistenza in anticipo sul loro destino. Dopo le parole di Salaroli, e il monito che arriva da tanti altri suoi colleghi, c’è dunque da chiedersi se non siano stati, in qualche caso, addirittura “lasciati andare”.

“State a casa. State a casa. Non mi stanco di ripeterlo. Vedo troppa gente per strada – dice ancora Salaroli, che ovviamente non è emulo di Mengele – La miglior risposta a questo virus è non andare in giro. Voi non immaginate cosa succede qui dentro”.

Rinchiudersi? È chiaro che stare a casa ha dei risvolti difficili personalmente e potenzialmente esplosivi per l’economia del vicinato e a catena del Paese e poi del mondo. Ma se Covid-19 diventasse pandemia sarebbe un disastro di proporzioni inimmaginabili, uno tsunami sulla vita di tutti e su tutte le sovrastrutture faticosamente costruite negli anni. Le regole per evitare di ammalarsi o di positivizzarsi al virus sono semplicissime. Lavarsi spesso le mani, salutarsi senza abbracci, evitare gli assembramenti. Se abbiamo accettato di non andare a lezione, che servirebbe al nostro futuro, possiamo immaginare che poi avventurarsi in locali affollati non è né astuto né, tantomeno, corretto. Potrebbe farci del male, potrebbe costare la vita a un nostro caro anziano.

Uno spritz in meno può allungare una vita, come la famosa telefonata. I brindisi rinviamoli a quando avremo battuto questo virus bastardo. Lo faremo con entusiasmo, se avremo dimostrato che a sconfiggere il Coronavirus non sono stati solo gli scienziati e i medici, ma un’intera comunità: che magari ha provato a contribuire anche da casa, con acquisti mirati, con contributo di idee. Potremmo essere davvero fieri di noi. Saremmo migliorati come comunità, saremo cresciuti come popolo. Noi parliamo per Bologna e per la regione, ma è un discorso universale.


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