Il linguaggio di Santori, voce di una generazione nuova nei toni e negli obiettivi
di Massimo Gagliardi
“Noi Sardine? Siamo una famiglia, una famiglia di persone vere”. Così Mattia Santori, il portavoce. E ancora, sempre Santori. Cosa cercano le Sardine? “Il dialogo”.
“Le istituzioni facciano il loro mestiere. Chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica”.
“Chiunque faccia il ministro comunichi solo nei canali istituzionali”.
Rivoluzione? Altroché.
Famiglia, dialogo, istituzioni.
Queste e altre parole connotano fortemente il linguaggio delle Sardine, rappresentative dei trentenni di una Bologna civile e affluente. Un linguaggio deciso quando si deve dichiarare antirazzista, antifascista e antileghista.
Rispettoso, inclusivo, morbido, quando si rivolge a governo e istituzioni. Sarà che in questo momento ai vertici del Palazzo troviamo larga parte della sinistra italiana? La considerazione è nei fatti: le Sardine sono nate in opposizione a Salvini per difendere l’Emilia dall’assalto leghista. Sta qui la loro ragion d’essere e la loro debolezza. Il compito l’hanno svolto egregiamente, il risultato politico è stato notevolissimo e Zingaretti e Bonaccini hanno subito ringraziato. Insomma, il riconoscimento è stato reciproco.
Ma torniamo al linguaggio e alle azioni. Alle istituzioni le Sardine hanno dimostrato di crederci davvero. Con la lettera al presidente del Consiglio Conte prima, con l’incontro col ministro del Mezzogiorno dopo, con l’accento sempre posto sul valore della nostra Carta.
Si può dire allora che la rottura attuata dai movimenti giovanili (e non solo) degli anni Settanta sia stata sanata?
La parola “dialogo” in quegli anni era bandita, confinata all’odiato lessico borghese. Di “famiglia” non se ne parlava proprio: roba che puzzava d’incenso e di parrocchia. Oggi Santori in tv dice che “la vera rivoluzione sarebbe procreare”. Il tema vero, secondo Santori, non sono i giochini di Palazzo ma gli “asili nido e il tempo pieno. A Reggio Calabria – afferma Santori – i nidi sono tre. A Reggio Emilia sessantatré. Questo è il tema vero”, ha aggiunto.
I baby boomers appartenevano a un’Italia in tumultuoso cambiamento. Si veniva da una società contadina che di figli ne faceva anche troppi; la meccanizzazione rendeva inutili “le braccia” per l’agricoltura. Grandi masse di contadini s’inurbavano per mettersi alla catena di montaggio; cambiarono gli stili di vita.
Oggi abbiamo il problema opposto: troppo pochi figli, divorzi e single in forte aumento. Disoccupazione, precarietà e globalizzazione difficile hanno spento il desiderio di futuro in una generazione da troppi anni depressa. Depressa e senza voce.
Le Sardine hanno tirato fuori la voglia di vivere (Santori: “C’è un’energia che dice noi ci siamo”), di sentirsi protagonisti del proprio futuro. E quindi di rivendicare dalle istituzioni ciò che le istituzioni sono tenute a fare: governare e dare servizi.
“Già negli anni Trenta il grande giurista Santi Romano sosteneva che, tutt’altro coincidenti con lo Stato sovrano, le istituzioni lo eccedono dall’interno e dall’esterno, come fanno ad esempio le organizzazioni non governative. Ma anche tutte le associazioni, i movimenti, i segmenti di società che chiedono ascolto e rappresentanza. Non contro le istituzioni politiche, come sono i partiti, ma slargandone i confini, modificandone le prassi, rivitalizzandone le procedure” (Roberto Esposito).
Ci sembra che le Sardine rientrino pienamente in questa narrazione. Fallita la rivoluzione, abbattuto il Muro, scomparsa la controcultura, nei giovani di sinistra torna il bisogno di istituzioni. Dio è morto e neanche Marx sta tanto bene.
Durante gli anni settanta la parola “dialogo” avrebbe dovuto iniziare a “ricontestualizzarsi” per arrivare a coinvolgere, ai giorni nostri Informazione digitale e discorso pubblico.
A Bologna, per un intervento istituzionale lungimirante e consapevole, si stava imparando a far dialogare una comunità di Utenti [allora solo scientifici] e l’industria della Tecnologia [allora solo] dell’Informazione [IT].
Quel tipo di dialogo, avviato 10 anni prima al CERN di Ginevra, era giunto a coinvolgere la ricerca scientifica italiana a partire dalla costituzione, nel 1969, del Consorzio Interuniversitario per l’Italia Nord-Orientale [CINECA], per volontà condivisa di 12 Università, con capofila Bologna.
Purtroppo di quell’esperienza di dialogo e della sua evoluzione, che avrebbe dovuto accompagnare la trasformazione dell’IT in ICT, cioè in Internet + Web, non c’è stata narrazione.
Potranno le Sardine rimediare al danno prodotto da quella mancata narrazione?
Quali istituzioni si renderanno consapevoli della necessità di capire cosa andò storto, al fine di mantenere aperto un dialogo tra comunità di utenti, non solo scientifici, e l’industria High Tech nord americana?