I giovani del 2020 al 49% se ne fregano dell’autorità

Ressa ai bar come fosse un eterno sabato sera: nativi digitali, professionisti del click, hanno passato ogni momento “vuoto” con in mano uno strumento che li ipnotizzava. Una generazione ingannata prima di essere nata. Non crocifiggiamoli ma diamo loro un appuntamento a primavera, quando usciremo di casa, per un orto, una radio, un progetto… Restiamo umani

di Gabriele Via, poeta


(…) O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.


Primo Levi, Se questo è un uomo, 10 gennaio 1946

Fino a ieri abbiamo visto scene di giovani spensierati assembrarsi per strada e presso i bar come fossimo in un eterno sabato sera. Lo abbiamo riscontrato qui a Bologna come nel resto d’Italia. Ecco dunque il nocciolo della questione: i giovani del 2020 se ne fregano di cosa dice l’autorità.

Non derubricherei la questione per il fatto che in queste ore un ulteriore Dpcm estende le note restrizioni a tutta Italia e quindi giocoforza questi eventi non si presenteranno più. Ritengo invece che questa sia un’occasione preziosa per fare un ragionamento. Del resto ci tocca stare a casa. Magari condividere una riflessione potrà farci bene.

Ora, la questione vede due soggetti: l’autorità e i giovani. Dovremmo indagare nelle due direzioni.

Guardando verso l’emittente del messaggio, l’autorità, la questione mi pare lapidaria e carica di pena; anche se molto complessa e antica: la classe dirigente italiana non è credibile. Qui si aprirebbe un volume intero di una secolare enciclopedia. Non mi sogno neanche di aprire il discorso, soltanto lo nomino, come promemoria, se mai per un altro intervento.

Cerchiamo ora di ragionare in direzione del destinatario del messaggio, del ricevente: il mondo dei giovani.

Premesso: va da sé che la maggioranza dei giovani è responsabile, disciplinata, corretta, altruista, generosa, ricca di buone energie e desiderosa di fare la propria parte, c’è però un 49% che non risponde all’appello. Ho scelto il 49% perché significa la più grande minoranza possibile.

Questo 49%, che ci costringe a lasciare nell’ombra la metà sana, appartiene anch’esso alla generazione dei nativi digitali. Professionisti del click. Hanno passato ore di viaggi con la famiglia, attese dal medico, piccoli spostamenti in autobus e ogni altro momento “vuoto” con uno strumento elettronico in mano che li ipnotizzava. Noi dedicavamo quel tempo a osservare e ad ascoltare i grandi e il loro mondo; magari a inventarci un gioco enigmistico mentale, a leggere o ad annoiarci; o ancora a staccare le zampette a un insetto, costruire una fionda, pettinare bambole, fare dolci con la sabbia decorati con le foglie.

Questo è il primo dato di una radicale diversità dei costumi. Questi “Bambini sperduti” non hanno incontrato Peter Pan. Sono emotivamente sprovveduti. Possiedono una bassa esperienza di dialogo umano fuori dal loro gruppo di pari. Già i loro genitori sono stati scippati di questa esperienza. Le pubblicità riempiono la loro memoria visiva e uditiva più degli eventi umani che li riguardano.

Noi avevamo nella mente e nel cuore le voci dei nostri genitori e dei nonni. Loro hanno la réclame dell’ultima offerta di una compagnia telefonica e non sanno i nomi e le storie dei loro nonni. È venuto meno il luogo morale della lotta tra bene e male: qui si gioca tutto tra autentico e falso. Loro sono incapsulati nel falso totale. Vivono, diciamo così, essendo passati da Fb a Instagram e da Instagram a Tik Tok.

Questa generazione, oltre ad essere pressoché ingannata da prima della nascita, ha la consuetudine di relazionarsi in ogni situazione tramite l’utenza di un servizio governato da un algoritmo. Le persone non esistono più nell’orizzonte concreto e funzionale della vita di questi nostri figli. Cosa possono sapere della vita umana? Quasi non sono più essi stessi vita umana. Brutalmente ridotti a impulso/reazione, stimolo/risposta e una induzione sistematica al consumo da parte di un sistema crudele e spietato che non smette di fare cantare le sue meravigliose sirene fin da prima che loro avessero l’età della parola.

Chi dunque può dire loro “state a casa”? Con quale autorevolezza? Le sirene qui non smettono mai di cantare. Essi non ascolteranno.

In più costoro sono i figli dei primi padri che non hanno fatto il servizio militare o che siano stati obiettori di coscienza.

Ora dobbiamo essere in grado di non crocifiggere i ventenni che non ascoltano le autorità, ma stare in campana e renderci disponibili a fare insieme un orto, una radio, un progetto…

Diamo loro un appuntamento alla primavera, quando usciremo di casa. Mettiamoci a disposizione. Facendo le cose insieme ci si conosce e si trasmettono le esperienze per il valore che hanno. Urlando sui social si irrobustisce il proprio disagio e ci si allontana.

Cerchiamo di cogliere l’opportunità. Meditiamo a fondo e diamoci questo appuntamento, in primavera, per fare questo orto insieme, o anche solo una bella partita a bocce, e riscoprirci sulla stessa barca. Nessuno sa cosa sarà domani. Restiamo umani.


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