Se non fosse stato per questo maledetto virus, noi non avremmo mai più rivisto il cielo blu che ora ogni giorno ci guarda. Il dato tragico è che avevamo già accettato di morire in un inferno saturo di veleni. Ma noi non riaccenderemo mai più la locomotiva “così com’era”
di Gabriele Via, poeta
Sono bastati pochi giorni, sollecitati e resi possibili solo dal panico di morire tutti da un giorno all’altro. Dobbiamo capirlo molto bene questo fatto. Perché è un fatto. Ancora ieri (faccio ora una patentesi che riguarda la terra dove vivo, ma quel che sto dicendo è declinabile ovunque ritroviamo attiva la locomotiva del progresso tecnico), il presidente della nostra amata regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, offriva il suo discorso vittorioso, in cui noi eravamo descritti come la locomotiva d’Italia. E distribuiva così numeri, percentuali, dati dati dati. E tutti quei dati erano gli assiomi su cui posavano i binari di questa locomotiva che non avrebbe dovuto fermarsi mai.
Lo capiamo? Riusciamo a capire che se non fosse stato per questo maledetto virus, assassino, subdolo e imprevedibile, noi non avremmo mai più rivisto il cielo blu che ora ogni giorno ci guarda, sulle nostre case piene e sulle nostre strade vuote? Non avremmo mai respirato in città un’aria così dolce e “strana”, in una luce talmente tersa che solo chi di noi ha i capelli bianchi ricorda esserci stata qui in città, tra le luci della propria infanzia che fu, mentre gli altri la ritroveranno solo paragonando i luoghi dei viaggi e delle vacanze. E forse non avremmo mai più salutato il nostro dirimpettaio.
Il dato tragico e sconcertante è che noi avevamo già accettato di morire in questo micidiale inferno saturo di veleni. E lo dimostrano i fatti: i comportamenti degli amministratori riguardo ai provvedimenti per l’inquinamento dell’aria (ora possiamo davvero dire: inadeguati e vergognosi) ma che poggiavano sulla complicità ipocrita e silenziosa di una intera popolazione, ormai assuefatta, esclusi – va detto – i pochi ecologisti che ormai sono considerati utopisti fuori dalla realtà. E, ultimo tra questi, ma non in autorevolezza e capace di uno sguardo locale e globale assieme, Francesco, vescovo di Roma (vedi lettera enciclica Laudato si’, 24 maggio 2015).
Dunque noi avevamo accettato di essere morti che camminano.
Invece un trauma devastante, su scala mondiale, ecco che imprevedibilmente ha tra i suoi effetti questa inedita rivelazione. E quello che prima poteva essere uno scontro fra concetti – a questo era ridotta la questione ecologica per colpa di politici e opinionisti – ora poggia su dati sensibili. È cioè esperienza, esistenza, vissuto, emozione, sentimento, speranza e destino. Ed è qui che troveremo la forza, proprio come dopo la devastazione di venti anni di dittatura e cinque tra guerra e Resistenza, un gruppo di persone seppe regalarci la Costituzione della Repubblica Italiana. Costoro avevano una comune fede: credevano che un destino migliore del precedente, costruito a partire dalla dignità della vita delle persone, non solo fosse possibile, ma dovesse essere necessario.
Vedremo che succederà sicuramente qualcosa a livello mondiale da qui a poco e molti popoli prenderanno la parola. Ma noi, anche solo come comunità locali (Agenda 21 capitolo 28) dobbiamo iniziare subito e fare la nostra parte.
Ora tutti noi abbiamo un compito statutario Costituente, irrinunciabile.
Dobbiamo da subito impegnarci e fare rete affinché ci sia un chiaro esplicito e semplice impegno.
Noi non riaccenderemo mai più la locomotiva “così com’era”. Ma affermeremo nuovamente i valori che ci tengono uniti (già scritti nella Costituzione) e la loro gerarchia.
Perché nella locomotiva su cui viaggiavamo, sfuggendo alla nostra coscienza, c’era lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, c’era la distruzione dell’ambiente e c’era la nostra condanna all’infelicità, nella sostanziale e concreta disobbedienza ai valori costituzionali.
Ripetiamolo ancora, dobbiamo capire a fondo, scrivercelo a fuoco nella coscienza che se non ci fosse stato questo micidiale e maledetto virus noi non avremmo mai più rivisto questa luce, questo cielo blu e quest’aria così dolce nelle nostre città. Dirsi questa verità allo specchio farà molto male.
Significa che avevamo già accettato di vivere una vita indegna, angosciosa piena di stress e in una continua ansia da prestazione. Tutti nervosi, infelici incattiviti, chiusi in noi stessi: dentro una gabbia di veleno che neanche avevamo più la forza di mettere in discussione! Eravamo morti e non lo sapevamo. Questo occorre dirlo a chiare lettere. Perché dietro di noi ci sono già mille locomotive pronte a ripartire come nulla fosse! Anzi, chiederanno ancor più di non avere vincoli di sorta per “recuperare”, stiamone certi. Sarà dura. Ma occorre far chiarezza da subito. Sapere da che parte stiamo.
È tempo che Prometeo cambi il suo destino, e abbracci la vita.
Eccellente riflessione quella proposta dal teologo Gabriele Via, ma che apre ad altrettante riflessioni. Dopo aver assaporato il benessere, la tecnologia è chissà quale altra diavoleria, siamo certi che l’uomo è pronto a tornare all’era della pietra? Non lo so. Me chiedo e non trovo risposta. Una certezza forse l’abbiamo. Se non usciamo da questa pandemia in tutta fretta e se non ritorniamo a produrre, ho paura che ci ritroveremo in tanti per strada con le braghe rotte a farci la guerra per un tozzo di pane. Il cielo è blu! Ma per quanto ancora?