Il coronavirus, la mosca e le élite

“Di fronte all’ondata populista, che non si ferma neanche in piena pandemia, non si può più rispondere con l’universalismo politico, ma è necessaria una nuova élite, colta, brillante e coraggiosa, che si assuma la responsabilità di occuparsi della cosa pubblica”

di Simone Jacca, responsabile app e sito web in Yoox, appassionato di storia contemporanea ed economia politica



La pandemia di Coronavirus non ci risparmia in alcun modo quella spiacevole sensazione di fastidio che si prova ogni volta che si legge un post di Matteo Salvini. Anzi, il fastidio è più alto. Perché è più alta la posta in gioco.

Così, leggendo la sua pagina – ahimè, va letta – si passa con disinvoltura da critiche al governo per eccesso di misure contenitive a critiche per il motivo opposto, dall’attacco a chi ringrazia la polizia, perché prima non lo faceva, a quello al popolo delle Sardine perché in questo momento “dove sono?”, proseguendo con nonchalance con foto di piatti di pasta, preghiere collettive alla Madonna, notizie complottistiche sulla fabbricazione del virus nei laboratori cinesi.

Poi però spunta questa foto, tratta da una trasmissione televisiva. E si pensa a uno dei suoi tanti travestimenti per strappare ulteriore consenso.  Ma qui non c’è alcuna divisa. Nessuna maschera. Qui entriamo nel favoloso mondo del “mimetismo” (Def. “La capacità di un organismo di imitarne un altro, allo scopo di trarne vantaggio”, Wikipedia). E come la mosca imitatrice, grazie alle sue ali che imitano il disegno delle zampe di un ragno, si camuffa da ragno saltatore in modo da spaventare i predatori, Salvini indossa un maglione azzurro come i camici dei medici, una mascherina leggermente calata come se avesse appena finito il turno, gli auricolari – del tutto inutili – a mo’ di stetoscopio e sullo sfondo una specie di lavagna metallica da ambulatorio.

Il risultato è semplice da immaginare: chi vede quella immagine trasferisce su Salvini tutte le sensazioni positive che in questo momento incarna il medico. E così Salvini diventa, senza che ce ne rendiamo conto, un indefesso lavoratore che si sta massacrando di fatica per salvare la vita a migliaia di pazienti, mettendo a rischio la sua.

Ora, quest’immagine sarebbe il semplice ritratto di un patetico personaggio che prova a soddisfare la sua ossessiva e compulsiva sete di consenso. Ma egli è il leader politico col più alto gradimento in questo Paese. Se oggi si votasse, probabilmente diventerebbe il più potente.

Come si spiega? Di risposte ce ne sono a centinaia. Quasi tutte di stampo antropologico e sociologico. Altre si concentrano su comunicazione e marketing. O vedono una sfaccettatura “solo” politica: la risposta più adeguata ai problemi degli italiani. La mole di risposte è già sufficiente a rendere inutile l’esercizio di cercarne altre. Meno inutile magari è cercare di cambiare domanda. Dal “come si spiega?” al “come si combatte?”. Le risposte sono più rade, spesso zoppicanti, astratte, un po’ retoriche e poco convincenti. Vale la pena approfondire.

Tuttavia, cercare la cura a un male –  a chi chiedesse se non sia troppo puerile e poco laico definire “male” un personaggio politico, faccio notare che non è la parte politica di quel personaggio che sto considerando, ma la rappresentazione di essa che, sì, non ho dubbi a definire tale – può risultare assai arduo se non si conoscono le cause o se non si ha per lo meno un quadro clinico più preciso. E allora decido arbitrariamente di selezionare la risposta che ho trovato più convincente, tra tutte quelle date alla prima domanda, che è stata scritta da Alessandro Baricco nel suo noto articolo ormai più di un anno fa (https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2019/01/10/news/la_guerra_all_e_lite_e_la_politica_al_tempo_del_game-216280050/)

Il quadro che ne usciva era sinteticamente questo (uso le sue parole):

È andato in pezzi un certo patto tra le élite e la gente, e adesso la gente ha deciso di fare da sola. […] Chi sono queste élite? Il medico, l’insegnante universitario, l’imprenditore, i dirigenti dell’azienda in cui lavoriamo, il Sindaco della vostra città, gli avvocati, i broker, molti giornalisti, molti artisti di successo, molti preti, molti politici, quelli che stanno nei consigli d’amministrazione, una buona parte di quelli che allo stadio vanno in tribuna, tutti quelli che hanno in casa più di 500 libri. […] Il patto era questo: la gente concede alle élite dei privilegi e perfino una sorta di sfumata impunità, e le élite si prendono la responsabilità di costruire e garantire un ambiente comune in cui sia meglio per tutti vivere. […] Che piaccia o no, le democrazie occidentali hanno dato il meglio di sé quando quel patto funzionava, era saldo, produceva risultati. […] Ora il patto non funziona più: la gente ha iniziato a non fidarsi neanche più dei medici, o degli insegnanti. Quanto al potere politico, prima lo ha affidato a un super-ricco che odiava le élite, poi ha provato un’ultima volta con Renzi, scambiandolo per uno che non c’entrava con le élite: alla fine ha decisamente stracciato il patto e se n’è andata direttamente a comandare”.

E qui torniamo alla “mosca imitatrice” e al consenso straripante che possiede: non fa parte di quella élite, fa parte di chi ha stracciato il patto e si è messo a comandare. E poco importa che è in Parlamento da decenni e che in realtà è dentro quell’élite fino al collo. Quello che conta è che non solo ammette di disprezzarla (ci hanno provato altri prima di lui) ma va oltre e la rinnega, scendendo dal pulpito e mettendosi allo stesso livello di chi quel patto lo ha stracciato. E questo, prima di lui, lo avevano fatto solo i 5 stelle: ma erano le prove generali.

Ora, passando alla seconda domanda, quella con meno risposte: come si combatte? Qui mi discosto nettamente da Baricco, che la risolve con questa ricetta, che per ovvi motivi semplifico un po’: “Ammettere che la gente ha ragione. Riprendere contatto con la realtà e accorgersi del casino che abbiamo combinato. Mettersi immediatamente al lavoro per ridistribuire la ricchezza. Tornare a occuparci di giustizia sociale. Staccare la spina alle vecchie élite novecentesche”.

Non vi è dubbio che ci si debba accorgere del casino che abbiamo combinato e che bisogna cominciare a redistribuire ricchezza; sul resto, temo che si inciampi irrimediabilmente in quell’astratto eccesso di teoricità che impedisce il concretizzarsi dell’azione.

Per esempio: come si riprende, precisamente, il contatto con la realtà? Vedo che molti ci stanno provando, andando su Facebook, facendo selfie, usando hashtag, rinnovando la comunicazione (“amici”, “ditemi che ne pensate”, etc.) ma non solo fanno peggio ciò che altri fanno meglio, soprattutto non si rendono conto che provano a curare il male, usando il male. O per dirla con Baricco si rifiutano di essere élite, scendendo anche loro da quel famoso pulpito, ma in modo più goffo e meno credibile di chi quel pulpito ha rinnegato e calpestato.

In altre parole, stanno abiurando: stanno confermando che quel patto andava stracciato e che quell’élite non aveva il diritto di essere lì. E quest’abiura credo sia l’errore più grave che si possa commettere ora. Non ce lo possiamo permettere. Perché temo che quelle élite, in realtà, non solo servano ancora, ma siano necessarie, indispensabili, anzi credo che siano l’unico modo. Non può esistere una società senza di loro. E non può esistere una società senza quel patto. Almeno non oggi. Non finché avremo questo tasso di analfabetismo funzionale, non finché saremo ventitreesimi in Europa per cultura e lettura o finché continueremo a trattare la matematica come se fosse un talento o un’inclinazione naturale, tipo il canto o l’orecchio musicale. Finché la distribuzione del sapere nella nostra comunità continuerà a essere così brutalmente polarizzata, non potremo fare a meno di delegare a un’élite colta, preparata, intelligente, brillante e moralmente sana la responsabilità di costruire e garantire un ambiente comune in cui sia meglio per tutti vivere.

Ma per farlo è chiaramente necessario mettere in discussione, anzi distruggere, quel sistema perverso, corrotto e clientelare, con cui attualmente la selezioniamo. E avere la capacità, la creatività, la fantasia – serve soprattutto quella – per individuarne uno nuovo, coraggioso, realmente efficace, che superi questa forma di universalismo politico, secondo il quale tutti siamo ugualmente capaci di gestire la cosa pubblica. Altrimenti si finisce per cadere nella facile tentazione di prendere una trentina di ragazzi che sono stati incredibilmente e meravigliosamente capaci di riempire le piazze di tutta Italia, resistendo e opponendosi alla morsa della mosca, e definirli subito élite, finendo precisamente nella trappola di quella stessa mosca.


Rispondi