“A Bin replico: nessuno mette in discussione che la Costituzione sia rispettata dal Decreto Conte che limita le libertà di movimento e di cura in reazione al Covid-19. Ma non è l’aspetto legalistico che preoccupa, quanto l’uso continuo della decretazione d’urgenza che di fatto sospende il dibattito parlamentare. L’uomo che risolve è l’anticamera della svolta autoritaria”
di Giovanni De Plato, psichiatra
Non capisco come Roberto Bin abbia potuto scambiare una critica all’operato di decretazione continua del governo Conte (e non solo di Conte: è male antico e ripetitivo) come un errore in diritto costituzionale, meritevole di una rampogna dell’arguto docente di quella materia, intellettuale tranciante come solo i giuristi sanno essere e come io conosco lui, data l’amicizia che ci lega. Sono convinto, ed era questo il mio allarme, che solo la piena attuazione della Costituzione possa evitare una degenerazione parlamentare come quella voluta in Ungheria da Orban. Attuazione piena, si badi, non parziale. Anche io come Bin non tollero semplificazioni o granchi su questioni importanti. Di conseguenza la sua critica di ieri pomeriggio (“Sospensione della Costituzione? De Plato si sbaglia”) a una frase del mio articolo pubblicato in questa rivista il 1° aprile (“I dilemmi da Coronavirus: tra restrizioni e libertà”) esige una precisazione da parte mia.
La frase incriminata è: “…pur comprendendo non si può condividere l’ennesimo decreto legge del governo Conte, perché sospende la Costituzione…”. Per Bin i decreti (due in quindici giorni) sono, invece, una piena attuazione dei principi della Carta ed elenca gli articoli costituzionali che lo comprovano. Sarà pure così, l’amico Bin ha i titoli per dirlo, ma l’uso del verbo “sospendere” è chiarito nella mia frase successiva: “… tocca a noi la difesa e la vigilanza sui diritti previsti dalla Costituzione e sui poteri del Parlamento italiano”. Sarà anche stato rispettato del tutto il dettato costituzionale, ma in questi tempi di ricerca dell’uomo forte anche il pieno rispetto di norme e codicilli può essere il passepartout legale con cui, da un’emergenza prevista dai padri costituenti, possa poi passare il concetto che l’uomo forte risolve i problemi, e che dunque sia necessario. La storia del 900 è lì a ricordarcelo, qualcosa ce lo fa temere anche in questo inizio di millennio.
Mi preme sottolineare che l’intera Costituzione italiana si regge sul principio del rispetto della persona umana, che per essere pieno non permette di “sospendere” i suoi costituenti, che sono la dignità e la libertà personali. Su questa strutturale unità ponevo il difficile problema di “chi” e “come” dovesse mettere in equilibrio, tenendo conto delle urgenze poste dalla pandemia, il diritto di tutti gli italiani alla salute e il diritto alle libertà individuali. L’equilibrio fra i diritti fondamentali va sempre ricercato, perché è l’anima della Costituzione e della democrazia. È chiaro che l’equilibrio non può essere delegato al tecnico (il suo è un parere e non è la decisione). È invece il compito proprio del politico, o meglio dell’eletto in parlamento: legiferare e controllare. La questione è, dunque, politica prima che di coerenza costituzionale.
Provo con altre parole e verbi, spero meno imperfetti, a farmi capire. Abusare dei decreti legge da parte del governo nazionale, in assenza di una legislazione sull’articolazione dei poteri centrali e locali nelle emergenze del paese, è un problema politico o no? Legiferare o emettere ordinanze per “necessità e urgenza“ in materia d’igiene e sanità pubblica, senza considerare gli aspetti di contesto generale, è un problema politico o no? Non convocare per mesi il parlamento è un problema politico o no? La mancanza di confronto tra maggioranza e opposizione nelle sedi istituzionali è un problema politico o no? Avrei preferito che Bin avesse espresso il suo punto di vista su queste domande, sviluppando argomentazioni che avrebbero di sicuro arricchito il dibattito.
Questi interrogativi, che paventano il rischio di una svolta autoritaria (che potrebbe avverarsi addirittura con il marchio di garanzia degli articoli citati dal dotto giurista, e per come va il mondo e anche la politica nostrana è rischio attuale come il virus), in quale modo può essere una fake news, accusa tanto ingiusta quando immeritata? Ci sono sintomi brutti anche nella politica, è la mia replica al caro professor Bin. E le sue argomentazioni legalistiche non mi persuadono che la democrazia stia funzionando benissimo.
Per rispondere ai miei timorosi quesiti, forse, Bin dovrebbe porsi di più i problemi che il normale cittadino esprime in modi più o meno corretti. Credo infine che farebbe piacere a me come a Bin che il dialogo su questi temi dei diritti fondamentali potesse continuare con l’intervento di altri lettori di questa rivista, nata proprio per favorire il dibattito e magari pure querelle intellettuali come questa. Perché ci potrà essere divergenza di opinioni ma non può mai venire meno il nostro intento: quello di provare a capire la realtà nelle sue complessità e contraddizioni, anche tra punti di vista.