Bonaccini conta molto sull’uomo che ha rilanciato la Reggia di Caserta al ruolo che le compete e gli affida il compito di trasformare le risorse culturali di un territorio che ne è ricchissimo in un’industria in grado di competere con Milano e con Roma. L’assessore regionale alla cultura e al paesaggio spiega come farà. Questa la prima parte dell’intervista. La seconda su Cantierebologna.com da domani pomeriggio
di Giulia D’Argenio e Giampiero Moscato, giornalisti
Mauro Felicori è inflessibile. Concede l’intervista a patto che nessuno si muova per raggiungere il suo nuovo ufficio in viale Aldo Moro. «Non posso accettare che si rischino contagi per un’intervista che si può fare a distanza». Chat audiovisiva sulla piattaforma Skype, e i tre protagonisti della chiacchierata si trovano intorno a un tavolo virtuale. Una giornalista giovane e uno anziano di fronte all’uomo che spiega a Cantierebologna.com la sua strategia: «La mia parola d’ordine in campagna elettorale è stata: l’Emilia-Romagna sfida Roma e Milano, capitali produttive delle arti, come terzo polo dell’industria culturale italiana. Un obiettivo da raggiungere attraverso un piano strategico che prenda a esempio il caso Milano». Bologna come Milano? Una sfida immane, ma possibile, come spiega l’ex direttore della Reggia di Caserta, perché non sarà il solo capoluogo a competere, ma tutta la regione, talmente ricca di beni culturali e artistici che ce la potrà fare.
Felicori si dice liberaldemocratico, mantenendo del suo passato Pci-Pds-Ds-Pd una forte attenzione alle classi meno agiate, ed è renziano. Eppure si smarca da concetti quali rottamazione («Tutt’altro») e non usa – come ci si potrebbe aspettare – toni duri sul Pd, di cui non rinnovò la tessera dopo cinque decenni di militanza cominciata nella Fgci («Ho una lunga storia di simpatie politiche diverse, le rappresento tutte»). Non esprime giudizi: né sul sindaco Merola («del successore mi aspetto che sia orgoglioso della città e capace di innovare») né sul suo omologo comunale, Matteo Lepore («non do pagelle. Non è una questione di singoli ma di rinnovamento della classe dirigente»).
Felicori, la crisi da coronavirus si è trasformata in crisi economica e la cultura è uno dei settori più sofferenti. Da dove si riparte?
«Il settore culturale è zeppo di lavoratori atipici che sarà difficile tutelare. Sappiamo che lasceremo tanti feriti sul campo. Però questa emergenza ha anche dimostrato che la cultura è un settore fondamentale dell’economia. Stiamo scoprendo quanto lavoro c’è alla sua base. Bisognerebbe spingere di più su una visione della cultura come impresa che genera ricchezza e occupazione. E come un’impresa, da gestire con una visione manageriale. Un’ottica industriale».
C’è chi sostiene che la nuova Giunta Bonaccini sia stata costruita in modo da accontentare le diverse anime che hanno contribuito alla vittoria.
«È così ed è giusto che lo sia. Tra i vari argomenti dell’antipolitica, c’è la stigmatizzazione di un presidente che compone la sua squadra di governo tenendo conto del peso delle diverse forze politiche. Se il partito che ha preso più voti ha anche più assessori non è criticabile. Diversa è la fase della trattiva, ma quella è una questione di stile. È sempre una questione di stile».
Lei proviene da una lunga militanza nel centro-sinistra. Qual è il suo giudizio sul Pd, soprattutto a Bologna, in regione?
«Non voglio entrare in questioni politiche in senso stretto. Sono qui per rappresentare almeno la maggioranza degli emiliano-romagnoli. Dico solo che ho una lunga storia di simpatie politiche diverse. Mi considero un liberaldemocratico, con una forte componente di classe. Una conclusione maturata dopo un’ampia riflessione sulle priorità del Paese. Sono convinto che la vera urgenza italiana sia la riforma della pubblica amministrazione e i maggiori partiti politici non riescono a perseguirla con la dovuta severità, avendo essa sempre avuto al suo interno una loro base elettorale importante».
Quali sono le prospettive di Italia Viva in questo governo?
«Ribadisco: sono temi che non mi interessano. La mia priorità, ora, è uscire dalla crisi e programmare i prossimi cinque anni. Sono un operaio delle istituzioni che, in questo momento, si trova in una posizione da cui spera di fare il meglio per la regione».
Come valuta la situazione di Bologna e il lavoro dell’assessore Matteo Lepore?
«Faccio l’assessore regionale: non posso dare pagelle. Non ora. Mi piace, invece, fare un discorso generale di rinnovamento delle classi dirigenti».
Si riferisce alle amministrative del 2021?
«Bologna è una città straordinaria, con una grande tradizione da conservare. Ma ha anche grande bisogno di innovazione, di nuove ambizioni. Per questo serve una persona orgogliosa della sua storia e che non esiti a metterne in luce i problemi e le soluzioni possibili. Penso però che ridurre la politica a una questione di nomi e singoli sia un errore. Per il cambiamento ci vuole un’intera classe dirigente».
In un’intervista, ha espresso l’augurio di veder andare avanti i giovani. Perché allora ha accettato l’incarico di assessore?
«Nego di aver mai detto questo. È naturale che ci sia un ricambio tra generazioni, ma non sono tra quelli che pensa che giovane è bello. Il tema è accompagnare questo ricambio e questo in Italia rischia di non accadere. Mentre una nuova generazione entra ce n’è un’altra che esce senza poter fare da guida. Ed è un problema: è un diritto dei giovani avere riferimenti». (SEGUE).