Alla metà del guado, ma l’altra sponda è piena di insidie

“Ora combatteremo il virus casa per casa”, ha detto il presidente Stefano Bonaccini.  Bene, si faccia. Meglio tardi che mai. I cittadini di questa terra hanno finora dimostrato di avere sufficiente senso civico e rispetto delle regole per aiutare dirigenti, medici, e infermieri a farlo

di Claudio Visani, giornalista


Sul Coronavirus in Emilia-Romagna si comincia a vedere la luce in fondo al tunnel. Ma è il tunnel d’uscita dall’emergenza, non dalla pandemia. “Siamo oltre la metà del guado”, dice il commissario regionale Sergio Venturi. Ma l’altra sponda è ancora ricca di insidie e di pericoli di recidiva. Sarà ancora lunga e bisognerà correggere parecchie cose per venirne fuori. In quali condizioni economiche e sociali, poi, non si sa ma si può immaginare.

Alla data del 6 aprile i contagiati totali comunicati da Venturi nel consueto bollettino delle 17.30, seguito quotidianamente in diretta Facebook da diverse migliaia di persone, erano 17.556, di cui 7.795 in isolamento a casa, 3.804 ricoverati nei reparti Covid di medicina e medicina semi-intensiva, 372 quelli più gravi in terapia intensiva, 2.397 i guariti e 2.108 i deceduti. Sommando le varie tipologie si arriva però a 16.476, ovvero 1.080 in meno che non si sa in quale conto siano finiti. Ma questo è un dettaglio.

Il numero di morti tra domenica e lunedì (57) è stato nettamente più basso rispetto ai giorni precedenti, ma sempre drammaticamente alto. E il conto totale delle vittime ufficiali è di quelli difficili da sopportare. Mi viene da pensare alle 20 vittime del terremoto in Emilia del 2012, o alle 309 di quello del 2009 in Abruzzo. Certo, non si può fare una scala del dolore, ma la dimensione di questa tragedia (16.500 deceduti ufficiali in Italia alla stessa data, tra il doppio e il triplo secondo i dati Istat) sconvolge. E probabilmente molte di quelle morti si potevano evitare se ci si fosse fatti trovare più preparati come “sistema Italia”, con interventi più tempestivi e appropriati sul territorio. 

I dati ufficiali dei malati e dei defunti, ormai è noto, valgono quel che valgono. Stime scientifiche e lo stesso capo della Protezione civile dicono che i contagiati reali potrebbero essere dieci volte di più di quelli censiti. Ed è la stima più ottimistica. Un’indagine Doxa e un paio di autorevoli studi ipotizzano infatti che il 10% degli italiani sia stato infettato e che, tra sintomatici e asintomatici, siano tra i cinque e i sei milioni le persone che hanno contratto il virus, di cui un milione nella sola Lombardia. C’è poco da stare allegri.

Per l’Emilia-Romagna il cauto ottimismo di Venturi e le notizie positive fanno riferimento soprattutto ai dati sul minor movimento delle ambulanze, al calo dei ricoverati sia nei reparti Covid “normali” sia nelle terapie intensive, alla minor gravità dei nuovi casi, alla tenuta complessiva del servizio sanitario (aumento posti letto, rianimazioni, respiratori) e a un trend al ribasso della pandemia che ormai è evidente. Del resto, se si chiude in casa un intero paese per un mese (per ora) è abbastanza scontato che il virus circoli di meno. Ma quando finirà la detenzione domiciliare, il rischio che la pandemia ricominci a correre è molto alto.

Per questo ora è necessario che la nostra Regione e la nostra sanità accelerino, e di molto, il lavoro per andare a cercare e mappare questo maledetto virus, con screening e diagnosi precoci sul territorio, facendo più tamponi, attuando interventi e terapie mirate a domicilio. Ultimando prima di tutto e al più presto i test sierologici a tutto il personale sanitario. A partire dagli operatori delle case di riposo, che rappresentano allo stesso tempo la più fragile difesa e la bomba più pericolosa di questa guerra. Perché, fin quando non ci sarà un vaccino, la diffusione del virus si può fermare davvero soltanto risalendo ai contagiati reali e ai loro contatti, visibili o invisibili che siano. E proteggendo adeguatamente chi ci deve curare. È un lavoro maledettamente complicato ma è ciò che va fatto.

I medici della Lombardia hanno criticato duramente, e giustamente, la loro Regione per aver “sbagliato strategia”, puntando sull’ospedalizzazione di massa anziché su questo tipo di lavoro sul territorio. Se fosse stato fatto, e si fossero subito chiuse le aree più a rischio, non saremmo a questo punto. L’Emilia-Romagna per fortuna non è la Lombardia, ma non è esente da colpe e ritardi su questo fronte. I casi di mancate diagnosi precoci, di adeguate terapie a domicilio, di aggravamento della malattia perché si è arrivati tardi e i tamponi si facevano solo ai ricoverati o a chi ormai era a casa moribondo, di morti che forse si potevano evitare, sono sotto gli occhi di tutti coloro che guardano alla realtà dei fatti con un minimo di obiettività e senso critico.

“Ora combatteremo il virus casa per casa”, ha detto il presidente Stefano Bonaccini.  Bene, si faccia. Meglio tardi che mai. La nostra Regione e la nostra sanità sono attrezzate e hanno le risorse per arrivare dove non si è finora arrivati, per fare di più e meglio. E i cittadini di questa terra hanno finora dimostrato di avere sufficiente senso civico e rispetto delle regole per aiutare dirigenti, medici, e infermieri a farlo. A cominciare dai quasi sempre incolpevoli runner, passeggiatori solitari e accompagnatori di cani incredibilmente indicati come untori responsabili primi della diffusione del Coronavirus.


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