Didattica a distanza: non è solo “l’unica scuola possibile”

Può essere pure una sorta di antidoto al digital divide. Il consulente del viceministro del Ministero dell’Istruzione Gabriele Benassi racconta problemi e opportunità della rivoluzione imposta al mondo dell’insegnamento da Covid-19. Contro la banalizzazione del “6 politico” va rilanciata piuttosto l’idea del Manifesto Condorcet della “bocciatura selettiva”, ovvero la “ripetenza” solo per le materie in cui non si è raggiunto l’’obiettivo di apprendimento

di Cristian Tracà, docente


Sono giorni di novità e incertezze per il mondo della scuola italiana, tra decreti che sospendono o rinviano e decisioni importanti che dividono l’opinione pubblica. A tenere banco, però, è soprattutto la didattica a distanza (Dad), rivoluzione copernicana nel mondo della relazione scolastica. Abbiamo chiesto al professore Gabriele Benassi, docente dell’istituto comprensivo 21 di Bologna, ricercatore e formatore del Servizio Marconi, nonché consulente del ministero dell’Istruzione, di raccontarci cosa sta avvenendo nelle aule virtuali che si stanno animando quotidianamente nelle case italiane

Professore, in queste settimane c’è stato un profluvio di narrazioni contrastanti sulla didattica a distanza: qual è la sua impressione personale da insegnante?

La Dad è attualmente l’unica scuola possibile. Non è la miglior scuola possibile, ovviamente. Ma, come si dice a Bologna, “piuttosto che niente è meglio piuttosto”. È un “piuttosto” che si appoggia sullo sviluppo tecnologico dell’ultimo lustro. Apre la scuola al digitale. Come ha scritto Baricco, stiamo facendo pace con il Game. Fare Dad non significa riprodurre staticamente quello che si faceva in classe in presenza. Occorre cambiare metodologie, lavorare sulle interazioni a distanza e su minilesson efficaci, “stalkerare” gli studenti che si nascondono o non partecipano, registrare, documentare, includere, non generare altre ansie, fare cultura. Siamo chiamati a tirare fuori tutte le nostre competenze professionali e umane, lo stanno facendo in grande maggioranza anche i nostri studenti dalle loro case.

Uno dei problemi più emersi è stato il digital divide: questa esperienza approfondisce il solco o man mano, con dei correttivi in itinere, lo ridurrà o quantomeno lo lascerà invariato?

Il digital divide non è causato dalla Dad. I recenti dati Istat ci dicono che circa il 14% delle famiglie con almeno un figlio non dispongono di dispositivi digitali come tablet o computer. È evidente che gli alunni di queste famiglie faticheranno a seguire le lezioni a distanza, anche se magari qualcuno di loro possiede almeno uno smartphone. È importante che le scuole facciano di tutto per dare dei dispositivi in comodato d’uso e per prevedere, una volta tornati alla normalità, un tempo scuola di recupero e di integrazione. L’importante, in questa fase, è mantenere almeno un contatto, un’indicazione di lavoro o anche una conversazione telefonica. Il digital divide non è solo il non poter disporre degli strumenti ma ancora di più non saperli utilizzare. È un nuovo analfabetismo che riguarda diverse famiglie, ma anche alcuni docenti e alcuni alunni (sfatando il mito dei nativi digitali). Sicuramente questo momento storico sta spingendo molte persone (docenti compresi) a “smanettare”, a mettersi in gioco e a provare. Le competenze tutte, anche quelle digitali, si sviluppano solo mettendole in campo. Mi aspetto quindi una crescita diffusa in questa direzione, quanto meno della presa d’atto che le competenze digitali oggi sono essenziali. La terza componente del digital divide è la connettività: il diritto alla rete è sempre più importante e non sempre garantito. È il vero problema per la didattica a distanza. E non solo.

In qualche caso, penso ad esempio ai ragazzi con diagnosi di disturbi specifici di apprendimento (Dsa), la didattica digitale potrebbe rivelarsi più inclusiva. È d’accordo?

Sono d’accordo. Il digitale facilita, rende accessibile, compensa. Serve però saper utilizzare app e strumenti in questa direzione e un alunno con Dsa che non li abbia utilizzati prima faticherà in questa fase a recuperare quelle competenze.

La scuola italiana ha ancora un impianto gentiliano o l’attenzione ai bisogni educativi speciali l’ha resa più democratica?

La scuola di massa non può essere “gentiliana”. È una contraddizione concettuale. Un ossimoro. Eppure molte rigidità sono rimaste quelle della scuola gentiliana: le classi, le annualità, le cattedre, l’autoreferenzialità delle discipline, le aule. La difficoltà di gestire una didattica innovativa e inclusiva dentro luoghi, tempi e approcci non più adeguati all’oggi è evidente. Come difficile è valutare in modo formativo e serio, osservando i processi di apprendimento ma rimanendo legati a voti numerici su compiti custoditi per i tribunali amministrativi.  La scuola democratica di don Milani, delle 10 tesi del Giscel (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica), del maestro Manzi è ancora lontana. Se guardiamo i dati, chi entra sano non sempre esce sano. Chi entra malato esce malato. Quindi, se devo rispondere con pacatezza, dico che siamo ancora in strada.

Veniamo a uno dei punti dolenti di questa nuova fase: la valutazione. Arriverà secondo lei qualche indicazione più specifica o sarà lasciata alla deontologia e alla libertà d’insegnamento?

Attendiamo l’approvazione del decreto e le note del ministero. Verranno date delle indicazioni che non toglieranno all’autonomia delle scuole nessuno strumento di valutazione finale. Si dovrà valutare il percorso didattico realmente sviluppato con i nostri alunni, esclusi quelli non raggiunti dalla Dad, su cui dovremo strutturare dei percorsi ad hoc.

Lei fa parte di una rete di docenti che propongono da tempo un’ipotesi di bocciatura selettiva. Vuole spiegare ai lettori di Cantiere in che cosa consiste e quali vantaggi avrebbe?

L’idea del gruppo “Condorcet – Ripensare la scuola” è il superamento della bocciatura intesa come “ripetenza ” in favore di una “bocciatura selettiva”. Per essere più chiari: se Mario Rossi non ha raggiunto gli obiettivi di apprendimento necessari in Fisica, ripete quell’anno di quella materia, al netto della possibilità di recupero, per esempio in corsi estivi attivati ad hoc. In un sistema di questo genere, strutturato per corsi, l’autonomia dello studente è maggiore, soprattutto se gli è data anche la possibilità di scegliere corsi opzionali. In questo modo il sistema favorisce la crescita e la maturazione dello studente; ancora, richiede ai docenti di articolare sempre di più la propria didattica in modo da venire incontro alle necessità di ciascuno studente e anche di ripensare la valutazione, uscendo dalla gabbia del voto come fine, per considerarlo invece un momento formativo e strumento di descrizione delle competenze acquisite. Con le bocciature selettive le classi si ritroveranno a variare nella composizione, aprendosi, come per altro già accade nella maggior parte dei percorsi secondari europei. Questa è solo una delle proposte. Vi invito ad approfondirle sul blog http://condorcet.altervista.org/ .

I giornali si sono lanciati in maniera sensazionale sulla semplificazione del cosiddetto 6 politico? Che idea si è fatto su come debba essere affrontato questo passaggio?

Non è la prima volta che la scuola entra nelle prime pagine dei giornali sempre con semplificazioni e banalizzazioni. Il tema non è il “sei” politico, al massimo si posticipano le decisioni, alla luce dell’emergenza e della situazione contingente. Si parla di prendere atto di quanto fatto, di assicurare a tutti il diritto al tempo scuola eventualmente compromesso, anche nella modalità a distanza. La cultura del “sei politico” è lontana anni luce da questa fase. È però importante passare il messaggio agli alunni che questo non deve diventare un alibi e che, anzi, richiede uno sforzo di responsabilità e di impegno ulteriori.

Non potrebbe essere un’occasione per eliminare, specie per la primaria, la valutazione numerica e concentrarsi sulle competenze, come ci chiede da anni ogni raccomandazione ministeriale?

Sono d’accordo sulla necessità di arrivare a una valutazione diversa nella scuola primaria, che superi la staticità del voto numerico e sappia rappresentare la dinamicità delle competenze e dei processi. Farlo ora, suonerebbe come una decisione emergenziale ed episodica, come una eccezione in un tempo eccezionale.

Lo sa che adesso le chiedo un parere sulla cosiddetta scuola delle competenze, spesso criticata da una buona parte del fronte progressista italiano?

Non c’è scuola per le competenze senza contenuti, c’è scuola dei contenuti senza competenze. Dipende come si fa didattica. Il resto sono chiacchiere. 

Lei è sicuramente uno dei docenti che potremmo includere nella schiera degli innovatori, dei tecnologici. Cosa lascerà di positivo per le metodologie e per le tecniche di insegnamento? Sarà opportuno, ad esempio, creare una piattaforma ministeriale che abbia le funzionalità Gsuite per gestire con più tranquillità il problema dei dati?

Il Piano Nazionale Scuola Digitale è stato ed è un momento importantissimo per la crescita della comunità scolastica. Le scuole che erano allineate non hanno avuto nessun problema ad affrontare questa emergenza e stanno sostenendo quelle che in questa fase sono in rincorsa. Decisive le figure degli animatori digitali che stanno portando avanti con entusiasmo e professionalità questa fase innovativa che non è tanto legata ai dispositivi, che sono strumenti, ma alle metodologie e a come questi strumenti possono favorire e facilitare i processi di insegnamento e di apprendimento. Anche le piattaforme sono degli strumenti. Nell’emergenza il MI ha elencato alcune opportunità che sono sul mercato già da anni a costo zero per le scuole, fra cui Office 365 di Microsoft e la Gsuite for Edu di Google, certificati AGID e in linea con il GDPR. Anche le recenti indicazioni del garante hanno confermato tutto questo, delineandone bene gli spazi di azione. Ad oggi, in mancanza di scelte alternative, è una manna che ci siano a costo zero queste soluzioni. Sull’opportunità di una piattaforma nazionale, ministeriale ho forti perplessità. Sia per un discorso tecnico ( server, costi di gestione, strumenti, manutenzione) che per un discorso didattico ( se l’ambiente digitale è uno strumento della didattica, è giusto che venga scelto dall’istituto). Auspicherei invece un ambiente digitale europeo per le scuole, questo sì. Ma i tempi non mi sembrano maturi.


2 pensieri riguardo “Didattica a distanza: non è solo “l’unica scuola possibile”

  1. Da osservatore “non esperto”, con interessi da nonno per l’argomento, segnalerei la necessità di espandere le considerazioni, che cito, dal testo dell’intervista:
    “Il digital divide non è causato dalla Dad. ….. Il digital divide non è solo il non poter disporre degli strumenti ma ancora di più non saperli utilizzare. …. Le competenze tutte, anche quelle digitali, si sviluppano solo mettendole in campo. ….”

    La necessità di espanderle si può motivare in due modi
    1)
    con le conclusioni del post
    DaD – Le condizioni per riprendere a settembre
    http://www.giannimarconato.it/2020/04/dad-le-condizioni-per-riprendere-a-settembre/
    dalle quali cito
    “Gestire l’apprendimento a distanza (AdA) comporta tecnicalità specifiche le quali non sono possedute da NESSUN insegnante (la DaD non è mai stata una competenza dell’insegnante della scuola) e che pur facendo riferimento ai fondamenti classici della pedagogia e della didattica, devono essere ripensati e riconcettualizzati per essere contestualizzati sulla specificità dello scopo della nostra scuola nei diversi ordini e gradi, del profilo degli studenti e delle condizioni logistiche e tecnologiche in cui si sviluppa quella didattica.
    Siamo, pertanto, in una situazione paradossale di assenza di competenza ma anche di ancoraggi concettuali e operativi sui quali costruire quella competenza. Dovremo, cioè, fare formazione senza sapere bene su cosa farla!
    Qualcosa ci inventeremo!”
    2)
    ricordando che la competenza di gestione della tecnologia a sostegno di processi cognitivi ha in Europa almeno tre ambienti di riferimento, mai ricordati da quando, durante gli anni 80, si è scelto di dare attenzione solo alla gestione della tecnologia, e della sua evoluzione, a sostegno di processi lucrativi ….

    Espanderei quindi le considerazioni di questa intervista suli digital divide con una
    RICERCA DI ERRORI DA CORREGGERE
    https://etherpad.devol.it/p/errors2brecovered-d5c9dtv

    Luigi Bertuzzi

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