L’ottimo servizio sanitario dell’Emilia-Romagna ha raggiunto il punto più alto e per andare oltre bisogna ripensare l’intero sistema. Bonaccini, Merola e gli altri sindaci si mobilitino per programmare il post-pandemia
di Giovanni De Plato, psichiatra
Va dato atto al presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, di aver fatto una scelta oculata, nominando il suo ex assessore alla salute Sergio Venturi a commissario dell’emergenza da Coronavirus. I due hanno lavorato con competenza e in totale armonia, cosa che ha permesso al sistema sanitario regionale (Ssr) di reggere l’onda alta dell’infezione; e di non collassare come quello lombardo.
Però va detto che sono emersi molti problemi organizzativi e gestionali delle aziende sanitarie, cui bisogna dare risposte urgenti. Sapendo che non si tratta di meglio qualificare o perfezionare l’attuale sistema dei servizi. Ma di considerare che l’ottimo Ssr ha raggiunto il punto più alto e che per andare oltre bisogna ripensare l’intero sistema. Mi limito a due esempi, uno nel campo sanitario, l’altro in quello sociale. Nel primo caso il primato della medicina territoriale pone il problema di non fare delle case della salute nel distretto un poliambulatorio decentrato. Dovrebbero divenire dei centri di attenzione primaria e di prevenzione della salute del singolo e della comunità, chiamando i cittadini a esercitare un ruolo di attiva partecipazione e di formazione competente.
Nel campo sociale si pone l’interrogativo: la costituzione delle aziende dei servizi alla persona (Asp) legiferata dalla Regione che fine ha fatto? La loro integrazione a livello del distretto con l’Asl per formare una rete di servizi socio-sanitari è stata mai attivata? Perché i Comuni stanno ritirando le deleghe dei servizi sociali prima attribuite alle Asp e Asl, riportando sotto la direzione amministrativa le competenze tecnico-professionali?
Queste ambiguità e contraddizioni, forse, ci permettono di analizzare i preoccupanti tassi d’infezione e di mortalità che si sono registrati nelle case di riposo, nelle residenze per anziani, a conduzione prevalentemente privata. Che cosa dire del mancato controllo e dell’inesistente vigilanza delle istituzioni pubbliche su queste strutture e sul funzionamento dell’intero sistema?
Lo slogan “niente sarà come prima” nasce da un ottimismo dovuto alla speranza di uscire dalla pandemia Coronavirus avviando un cambiamento radicale verso un mondo più umano e meno ridotto a pattumiera. A questo pensiero positivo, con più realismo va contrapposto lo slogan “tutto ritornerà a essere come prima”. Cambiare o continuare sono una scelta che la classe politica che ci rappresenta in Parlamento dovrebbe saper sciogliere, scegliendo per il bene generale. La sua responsabilità, competenza e suoi tempi di decisione lasciano poche speranze.
La stessa maggioranza giallo-rossa che ci governa è così poco coesa e tanto divisa al suo interno da non promettere nulla di buono. Quasi sicuramente non segnerà alcuna discontinuità rispetto al programma in essere, anche se si è dimostrato nell’emergenza virus inconsistente e tardivo. I provvedimenti che obbligavano tutti in quarantena nelle zone rosse sono stati presi senza una minima articolazione con i poteri locali, che a loro volta si sono mossi in anticipo o ritardo con decisioni improvvisate e sbagliate, aggravando e non contenendo la diffusione del virus, come in Lombardia. E i provvedimenti che bloccavano quasi tutte le attività produttive e commerciali hanno determinato una paralisi ulteriore del paese non sempre giustificata.
Alla crisi sanitaria, si sono aggiunte le crisi dell’economia e della società. Con il risultato di aver messo in conflitto la priorità del diritto alla salute con la necessità di tutelare la sicurezza nella produzione di merci, beni e servizi. La politica mostra ancora una volta tutti i suoi ritardi ed espone i cittadini a crisi nella crisi. Il dilemma irrisolto all’Ilva di Taranto si è riproposto in forme più gravi nell’attuale pandemia. La politica dimostra così di non sapere sciogliere il nodo salute-produzione, e di non riuscire a trovare il giusto equilibrio tra le due dimensioni.
Salute e produzione possono non essere messe in contrapposizione se sono individuate, tramite qualificate commissioni tecno-scientifiche, le più avanzate misure di tutela e di sicurezza riconvertendo e riqualificando i singoli settori. Per contrastare questo stato di cose e anticipare la costruzione di un mondo nuovo occorre mettere in campo una strategia politica e amministrativa dal basso di ridisegno dello sviluppo umano e industriale. Tocca al presidente Bonaccini, a Merola e ai sindaci delle altre città emiliane mobilitarsi e dotarsi di un nuovo paradigma per ridisegnare il Welfare di prossimità del dopo epidemia. Solo così si potrà vincere la sfida posta a livello glocal da un virus la cui virulenza e letalità sono l’esito triste dello sviluppo finora creato.