Nel 2020 ha steso un cordone sanitario contro il Coronavirus che l’ha colpita particolarmente; nel 1745, messa infine sotto il controllo fiscale del capoluogo, consentì a Bologna di onorare un pesantissimo debito che aveva contratto con il Governo pontificio romano. Il ringraziamento è inciso nel marmo all’ingresso di Sala Imbeni a Palazzo d’Accursio
di Emanuele Caprara, giornalista

In questi giorni di emergenza Coronavirus, Medicina e Ganzanigo si sono trovate a essere un forte e pericoloso focolaio dell’epidemia in territorio bolognese. Le autorità sono giunte, dopo iniziali tentennamenti, a chiuderne i confini con la zona rossa e a vietarne i contatti con il resto del territorio, delimitando il contagio e soprattutto impedendone la diffusione nel bolognese. Medicina, infatti, è oggi soprattutto una città dove molti abitano (circa 17.000 gli abitanti), ma non avendo insediata una realtà manifatturiera di rilievo la maggior parte dei residenti lavora nelle aree limitrofe: le zone industriali lungo la via Emilia e a est del capoluogo, moltissimi a Bologna e altri ancora verso l’Imolese. Chiudendo tempestivamente Medicina e Ganzanigo si è in realtà salvata dal virus l’area metropolitana di Bologna.
Nella sua storia millenaria non è la prima volta che la piccola realtà medicinese mette una significativa pezza a impellenti necessità bolognesi.
Sviluppatasi all’incrocio di un cardo e un decumano della centuriazione romana, in un’area della pianura lasciata vuota dalla caduta dell’antica città di Claterna, Medicina ha avuto la ventura di godere per numerosi secoli di una forte autonomia nei confronti di chi governava il territorio circostante. Autonomia che ha in particolare trovato forza in un decreto del 1155 dell’imperatore Federico I Barbarossa, a cui è oggi ispirata l’annuale omonima festa che coinvolge quasi tutta la popolazione nella rievocazione storica in costume medievale. Sulla base di quel decreto Medicina è riuscita per sei secoli ad autoamministrarsi, a non pagare tasse e dazi ad alcuna altra autorità e a gestire in maniera “comunista” una grande parte pubblica del suo territorio, permettendo con i suoi introiti di dotare la comunità di diversi strumenti che oggi definiremmo di “welfare”, quali il medico, il maestro e la scuola, l’ostetrica, il massaro, la difesa, l’ammasso dei cereali, la banca e tanto altro. L’esenzione fiscale di cui godeva Medicina aveva consentito inoltre di sviluppare con successo una intensa attività manifatturiera e commerciale con filatoi da seta, concerie, mulini, cartiere, fabbriche di polvere da sparo e tabacco, distillerie, attività (seppur proibite al di fuori della città di Bologna) promosse spesso anche da cittadini e nobili bolognesi che impiantavano lì le attività imprenditoriali godendo del privilegio fiscale.
A gestire tutto ciò vi era una élite locale che, a partire dal giureconsulto Pillio da Medicina, collaboratore del Barbarossa, nel tempo era sempre riuscita a far valere la propria autonomia presso i ‘poteri forti’ di allora. Le ristrette famiglie che gestivano la Comunità di Medicina trovarono anche un modo originale di formare delle leadership in grado di influenzare i potenti di turno e difendere le prerogative del paese: inserendo loro componenti nel convento del Carmine di Medicina e sostenendo la loro carriera religiosa fino ai massimi livelli. Nel corso del ’600 ben quattro medicinesi diventarono Padri Generali di tutto l’ordine carmelitano a Roma e da quel ruolo riuscirono a esercitare influenza sul governo pontificio. La grande ricchezza dell’architettura barocca, ancor oggi visibile, testimonia a Medicina il momento d’oro vissuto in quel periodo.
Ma la città di Bologna non aveva mai perso la volontà di giungere a un pieno controllo, soprattutto fiscale, di quello che considerava suo territorio. Nel 1740, con la nomina a Papa del bolognese Prospero Lambertini, con il nome di Benedetto XIV, il governo pontificio romano si ritrova ad aver accumulato crediti dalla città di Bologna per l’allora importantissima cifra di 35.000 scudi, debito che il Senato bolognese, anche per la situazione post-bellica, non è in grado di onorare. Conoscendo bene la situazione il bolognese Papa Lambertini promulga nel 1745 una bolla pontificia che sancisce la fine di tutte le prerogative di Medicina, assoggettandone completamente il territorio a quello bolognese e alle sue leggi. Il risultato fu così efficace che, grazie a quell’atto e al nuovo apporto fiscale, Bologna fu poi in grado di onorare parte del debito.
Fu talmente importante per Bologna che, per eternarne la memoria, il Senato bolognese ne incise il ricordo in una lapide in marmo dedicata a Benedetto XIV collocata in cima allo scalone del palazzo comunale (dove tutt’oggi si trova, sopra l’ingresso della sala Imbeni, sede delle Commissioni Consiliari) che reca incisi i nomi delle Comunità di Medicina e Ganzanigo come sottomesse al diritto bolognese. Da allora Medicina decadde dal punto di vista economico e sociale e divenne uno dei tanti paesi agricoli della pianura bolognese. Caratteristica che ha mantenuto fino ad oggi, non riuscendo nemmeno a intercettare l’intenso sviluppo industriale che ha caratterizzato nel dopoguerra e soprattutto in anni recenti il territorio circostante.
Cresciuta soprattutto dal punto di vista residenziale, aumentando di un terzo gli abitanti negli ultimi quindici anni, Medicina ospita oggi tantissimi lavoratori pendolari sul territorio bolognese. è stato forse relativamente più facile per le autorità decidere di instaurare la zona rossa, non avendo a Medicina le pressioni di una forte realtà manifatturiera come quella presente nel focolaio riminese o nei distretti industriali e metallurgici del bergamasco e del bresciano che probabilmente ne hanno frenato l’adozione