Ci attende l’ora della responsabilità

La storia sta rispondendo alla grande questione politica morale: era il nostro il migliore dei mondi possibili? Ed è stata inequivocabile: no! Se ripartiremo come se nulla fosse solo per recuperare il Pil sarà una catastrofe, la fine di tutto quello che significa il 25 aprile

di Gabriele Via, poeta


Nei frenetici giorni in cui tutti noi eravamo assuefatti allo smog, in un modo o nell’altro ci arrivavano le informazioni circa le misurazioni della qualità dell’aria. Addirittura condite dalle nostre colorate, solide o meno solide polemiche. Ognuno di noi dovrebbe essere chiamato a fare un accurato lavoro di analisi per discernere  – proprio a partire da sé – vocazione personale e capacità di diagnosi nel distinguere la natura della tensione polemica che, come insegnava Eraclito, brutale come Balzac, non è malacreanza, quanto piuttosto quella dinamica nella natura delle cose che anche al sommo Anassimandro  – padre del pensiero scientifico, almeno secondo un autorevolissimo addetto ai lavori quale Carlo Rovelli – non era certo sfuggita, e che nel frammento che ci è pervenuto fa la sua comparsa in quel fio che secondo giustizia reciprocamente le cose si pagano tra loro, al loro limite.

Orbene, nonostante Eraclito, Balzac, Rovelli e Anassimandro, nell’era dello smog il lavoro delle centraline più o meno, di malavoglia o di buongrado, veniva riportato, era divulgato e arrivava a influire sulle determinazioni della politica: stop del traffico, targhe alterne, limitazioni euroqui, eurolà, eurosu ed eurogiù.

Da un po’ di tempo di loro – le bruttissime e bizzarre centraline – non si sente più parlare. Anzi. Nonostante da più parti (per la verità non organizzate per nulla in un cartello per i nuovi criteri della ripartenza economia politica sociale) si siano sentite voci in tal senso, quando si parla di ripresa ecco invece che tutto verte sul lavoro, concreto generico e ideale, ma non si parla di cosa fare per riprendere il lavoro, da un lato, ed evitare di tornare ai valori di smog in cui assuefatti come nell’apologo della rana bollita avevamo accettato di finire i nostri giorni. E, beninteso, con quadri statistici di morti da malattie da smog e incidenti stradali degni di allarmi epidemici  – solo che non ne parlavamo in questi termini.

Torniamo quindi alle centraline della misurazione della qualità dell’aria.

A chi spetta il compito di dirci i valori, per cui rappresentare grafici; capire quale misurabile differenza stiamo vivendo; stabilire quali nuovi limiti VORREMO sopportare? E indire se mai un referendum. Capire cosa si può realmente continuare a fare con il lavoro a distanza e come trasformare produzione, distribuzione e consumi per FARE DAVVERO politiche sostenibili. Ecco: se non parliamo di criteri, di indicatori e di misura, parlare di sostenibilità è aria fritta, e fritta male.

Pochi giorni fa un’intera pagina di un’autorevole edizione locale di un quotidiano lanciava l’idea culturale di trasformare il cinema in piazza (uno dei simboli mondiali della Bologna solidale e culturale) in un grande Drive-in a parco Nord. Ecco, se il livello è questo non so quale dibattito di qualità possa mai venire fuori. Diciamo che è stato un momento di debolezza, un calo di zuccheri, un attimo di sconforto. Ci sta. Ma riprendiamo la barra al più presto.

Credo che partire dall’aria – che è già il cielo, come ci ricordava Wisława Szymborska – conoscendone i valori di salubrità, così come per l’acqua e la terra, e lo si può desumere osservandolo i segni che la natura ci sta restituendo, sia la via maestra per questo enorme lavoro di conversione ecologica che dobbiamo necessariamente fare. Occorre capire che abbiamo avuto, nella malasorte, il buon dono di ridiscutere il rapporto tra natura e società. Finalmente la storia ci ha dato una risposta alla grande questione politica morale: era il nostro il migliore dei mondi possibili? Ed è stata inequivocabile: no!

Ignorare questo dato è colpevole. E il politico che faccia spallucce a questo monito deve andare a casa, e subito, perché non adeguato ai tempi.

Lo ripetiamo ancora e ancora: pensare di fare ripartire la locomotiva come nulla fosse, anzi volendo recuperare il tempo perduto circa il mero Pil (che significa non capire quel che dovremmo invece capire) è un’azione di massima superbia. Non si capisce davvero cosa ci stiano a fare i modelli archetipici della nostra cultura, come la torre di Babele, Icaro, Prometeo, qualche fiaba di Esopo, la saggezza popolare (chi troppo vuole nulla stringe), non so quanti poemi, romanzi, e la memoria personale di ognuno che certamente ricorderà consigli di anziani che avranno suggerito prudenza ascolto e buon senso.

Perché si tratta di questo. E torniamo alla responsabilità. Ognuno deve incaricarsi di assumere questi criteri, e praticarli.

Pertini, Moro e Berlinguer non sono qui tra noi in carne e ossa, ma se ascoltiamo e se leggiamo la Costituzione riconosceremo che invece sono tra noi presenti e vivi in Lettera e Spirito. Una buona questione morale dovrà necessariamente segnare il passaggio dal ventesimo secolo all’era della nuova globalizzazione.

La dignità della persona e delle comunità in un nuovo patto di responsabilità con la natura che abitiamo e che ci abita. A questo è dovere di ognuno dare risposta, intima e sociale, perché siamo una comunità.

Su Cantiere Bologna si sono aperte finestre di dialogo su temi cruciali e non rimandabili. Politica e cittadini devono cogliere questa occasione. Non è vero che tutto andrà bene. Se è vero che ciò che ci attende è l’era della responsabilità, allora tutto andrà come lo faremo andare. E se non faremo nulla, cioè se lasceremo fare, sarà certamente una catastrofe, e la distruzione di tutto quel che vorremmo festeggiare il 25 aprile.


Un pensiero riguardo “Ci attende l’ora della responsabilità

  1. Bene bene! La poesia -o il poeta- riprende la parola e speriamo che ci tenga tutti inchiodati all’ ascolto.
    Subito, a sentire di archetipi culturali, di fiabe, mi sono ritrovata dentro l’ apologo, in attesa della chiusa con morale. Anche in democrazia, tra lupi, rane,agnelli, corvi e altro, nessuno vuole lasciarsi sbranare. Ognuno di noi, per non essere solo e indifeso, cerca compagni di consiglio e di resistenza, li sceglie e li segue ascoltando la voce interiore, il libero arbitrio. La Politica, nuovo actant delle fiabe moderne, deve collocarsi lì, nel ruscello, o sul pezzo di cacio, o accanto alle centraline.

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