Dopo il virus occorre un tavolo regionale di raccordo e coordinamento, chiamando tutti i soggetti interessati al fine di elaborare e concordare un sistema misto
di Giovanni De Plato, psichiatra
Nelle interviste della Fase 1 della pandemia, il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ha espresso l’impegno a voler “ridisegnare il nostro futuro”. E il nuovo assessore della Salute Raffaele Donini ha dichiarato che “la sanità è chiamata a un cambio fondamentale”. Il sindaco della Città metropolitana di Bologna Virginio Merola ha istituito il suo comitato di saggi per avere lumi su come progettare la nuova metropoli. Bene, le istituzioni si stanno muovendo e lasciano sperare che riusciranno a dotarsi di una visione strategica di uscita coordinata dalla pandemia e di costruzione di un nuovo modello economico e sociale, ecosostenibile e solidale. Il passaggio alla Fase 2 lascia sperare che le dichiarazioni e le promesse fatte siano tenute, passando alla loro realizzazione.
A questo fine si pongono due scenari che dovrebbero essere tenuti in giusta considerazione. Il primo è dovuto alla crisi del modello neoliberista della globalizzazione: prima le merci e la produzione poi le persone e l’ambiente. Anche la logica del cieco profitto è costretta ad aprire gli occhi e a vedere i devastanti guasti creati nel pianeta e nelle comunità locali. La seconda questione da prendere in considerazione è l’impatto sociale di un’economia de-umanizzata: le diseguaglianze crescenti stanno moltiplicando le persone che per le loro miserie accusano una fragilità che le rende fortemente esposte al contagio e alla morte. Per evitare questa catastrofe umana c’è solo una politica da mettere in campo: un sistema economico a valenza sociale e un sistema sanitario pubblico e preventivo.
Su quest’ ultimo aspetto, la pandemia da coronavirus ha evidenziato molti punti critici dell’attuale organizzazione dei Servizi e posto molti problemi urgenti da risolvere per reggere una eventuale fase del contagio da Sars-Cov-2. Sta alle forze politiche e a chi governa ai livelli mondiale, nazionale e locale cogliere la nuova domanda di tutela del diritto alla sicurezza e alla salute di tutti i cittadini per tutto l’arco della vita.
Il primo problema è che il servizio pubblico dovrà dotarsi di una completa e uniforme raccolta dati (big data) sullo stato di salute del singolo assistito. Raccolta che deve essere tempestiva, continua, vigilante e predittiva delle necessità di attenzione primaria, di cura o di ricovero del singolo; questa modalità nel registrare l’informazione dovrebbe allertare direttamente i sanitari di riferimento. Un sistema intelligente dovrebbe segnalare al cittadino il suo stato di salute e ai servizi sanitari e sociali l’urgenza o meno dell’intervento. Il secondo è che la resilienza al contagio e la tenuta di un sistema sanitario sono garantite dallo sviluppo della medicina di prossimità, dal rafforzamento dei servizi territoriali e dell’assistenza domiciliare, e da un forte ruolo del Dipartimento della prevenzione. Il terzo problema pone la necessità di costruire con le più moderne tecnologie un’organica integrazione sanitaria e socio-sanitaria dei servizi, dal domicilio al reparto di alta specializzazione dell’ospedale. Il quarto rende evidente la necessità del pieno coinvolgimento del Terzo settore, l’apertura al contributo del privato non profit e la limitazione del convenzionamento con la spedalità privata.
L’ultimo problema, ma il primo per importanza, è quello di restituire l’autorità istituzionale che spetta alla sanità pubblica, potenziandone le funzioni di committenza, programmazione e di controllo. Negli ultimi anni il Servizio sanitario e sociale regionale e metropolitano stanno subendo l’iniziativa agguerrita delle assicurazione private, l’estensione incontrollata del privato profit e il moltiplicarsi difforme del welfare aziendale.
Qui davvero occorre un tavolo regionale di raccordo e coordinamento, chiamando tutti i soggetti interessati al fine di elaborare e concordare un sistema misto sulla base di un Patto di qualità dei servizi per la salute di tutti i cittadini. Occorre riportare ognuno dei soggetti all’interno della programmazione sanitaria regionale e locale, modulata sulla committenza territoriale della domanda di salute delle persone, sul controllo delle forme di erogazione delle prestazioni e sulla validazione dei servizi di qualità.
Concordo, anche nelle virgole, su quanto esposto da Gianni e mi permetto di sottolineare due punti importanti: i) Quello di mettere a punto un sistema che, basandosi sull’esperienza e sui dati della real world medicine, permetta di fare interagire in tempo reale tutti gli attori della sanità, dal paziente al MMG, alle strutture territoriali, ai reparti ospedalieri. ii) Rivedere drasticamente il rapporto con la sanità privata e, in particolar modo, con i Fondi Sanitari Integrativi. In Italia, come in tante altre nazioni che hanno adottato il SSN, si assiste ad un incremento di forme di assicurazione sanitaria volontaria. La presenza di agevolazioni fiscali e contributive rappresenta certamente uno dei maggiori incentivi allo sviluppo della sanità privata integrativa. Però, attenzione perché i fondi sanitari possono definirsi integrativi solamente quando offrono prestazioni non comprese dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Per fare un esempio le cure odontoiatriche, con alcune poche esclusioni. Ma nella realtà la percentuale di questi veri fondi sanitari integrativi è molto bassa; nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di assicurazioni private che offrono, soprattutto alle industrie, una sorta di welfare aziendale che comprende una vasta gamma di prestazioni tutte comprese nei LEA del SSN. Quale è il danno, e si tratta di miliardi di Euro, per il sistema fiscale e per l’INPS: che la stessa prestazione, nei fatti, viene pagata due volte. Una prima volta perché attraverso il prelievo fiscale il cittadino paga il SSN perché si attrezzi per fornire all’utente un servizio completo e universalistico. Poi, attraverso le deduzioni fiscali, sia del singolo cittadino che delle aziende, lo ripaga di fatto una seconda volta. Il danno, occulto, per l’erario è molto importante come hanno dimostrato diversi centri di ricerca.
Ringrazio Maurizio Marangolo non tanto per la condivisione dell’articolo ma per aver spiegato chiaramente cosa “nasconde” l’Assicurazione privata integrativa. I vantaggi economici e fiscali del sistema assicurativo vanno a “danno” della scelta volontaria del cittadino, del welfare aziendale e della fiscalità generale. Chi governa a livello nazionale e locale dovrebbe riconoscere il diritto alla salute una priorità fondamentale, la sanità pubblica una necessità insostituibile e il modello universalistico una risorsa unica che non può essere minata. Gli altri soggetti (privato profit e non profit) di produzione di prestazioni e servizi possono concorrere a formare un complesso integrato pubblico-privato. A patto che non ci sia il disegno “nascosto” di creare una secondo pilastro privato alternativo a quello pubblico, sarebbe la fine dell’unica riforma di struttura che rende l’Italia nel mondo un paese di eccellenza.
Caro Gianni volevo scriverti per congratularmi con te per avere finalmente capito che il Privato può essere utile e positivo anche in sanità se ben controllato: Il gruppo Villa Maria di Cotignola, divenuto un gigante, è nato per chiudere un buco grossolano della sanità Pubblica: dice la leggenda (non so fino a che punto dimostrata ma credibile per la mia esperienza diretta di quegli anni ) che il gruppo è nato per il desiderio/necessità dei “benestanti” (imprenditori, commercianti ) della Regione di interventi di Cardiochirurgia, di by pass aorto coronarici in particolare, che si dovevano aspettare 6 -10 mesi (e qualcuno nell’attesa ne moriva) o andare a farli a Parigi o altrove. Si sono costruiti una Casa di Cura che poteva fare Cardiochirurgia in cui farsi operare dai migliori operatori d’europa.
Dal punto di vista sostanziale ha funzionato. con il convenzionamento poi tutti quelli che avevano necessità di questi interventi potevano farli anche loro in quella sede, costruita e attrezzata tempestivamente e senza soldi pubblici, senza attendere i tempi lunghi del pubblico e spendere di più che al S. Orsola. (Io ho fatto due o tre procedure al S. Raffaele a Milano senza neppure spendere un ticket).
Sapere e riconoscere questo significa apprezzare (o accettare per certi vetero comunisti) che la sinergia pubblico privato può essere utile al paese e alla sanità in particolare senza aggravare i costi, già enormi, della sanità pubblica e senza offendere il principio che la Sanità deve essere generalista e gratuita che è sono poi i soli veri punti qualificanti dal punto di vista morale e politico.
Se questo che dico sembra giusto ad alcuni non lo è per te che affermi che occorre aprire “al contributo del privato, però “non profit”, e limitare il convenzionamento con la spedalità prìvata.
Ancora oscuro il significato dell’avversione al “Welfare Aziendale”. Solo parlando di Olivetti lo si può ritenere un fatto positivo? Del Vecchio ne sta offrendo un ottimo esempio contemporaneo.
Continuo con il contestare il commento al tuo articolo che parla di un danno economico di miliardi per il fisco e per l’INPS delle assicurazioni private “non integrative”.
Forse il danno è per il privato che paga due volte la Sanità (la detrazione consentita lascia comunque un margine significativo al fisco) ma.credo che questo possa e debba essere considerato legittimo entro i limiti della libertà personale altrimenti regrediamo a Mao o a Pol Pot (ho vistato le sue camere di tortura e ti assicuro non sono neppure credibili tanto sono orrende) che mandavano i medici, già pochissimi, a lavorare in campagna per “imparare”.
Rimando ad altro tempo il commento al “Comitato di Merola per il futuro di Bologna”
Caro Sandro
alcuni precisazioni sul tuo commento. La prima: forse non sai o non ricordi che alla fine degli anni Novanta del secolo scorso ho organizzato con Maurizio Cevenini (dirigente dell’Aiop di Bologna) un convegno nella sede della Confindustria su “Integrazione del pubblico e privato nella sanità”. Ho ancora la relazione che ti metto a disposizione. Su questo mi permetterai di ricordare il caro amico Maurizio, ci legava una lunga collaborazione, prendendo dal toccante articolo su questa rivista di Aldo Balzanelli la citazione riportata di Ignazi “Ogni qualvolta un dirigente del Partito Democratico si ritrova a discutere della possibilità di affidare un incarico di partito a un candidato che ‘piaccia alla gente’ cade sempre nello stesso tranello: lo accusa di non essere esperto, di non avere esperienza sulle spalle, di non essere tagliato per quel ruolo e finisce con il confondere la parola popolare con la parola populista”. Il Pd purtroppo ragiona e si comporta ancora così. La seconda precisazione è sul gruppo di Villa Maria: anche questa volta ti è sfuggito un mio articolo sul Corriere di Bologna dove sottolineavo l’eccellenza di quella struttura. Come vedi il mio approccio ai temi della salute è sempre stato di valorizzazione del modello universalistico e del sistema integrato.