Vogliamo rivolgerci agli uomini liberi del futuro, a quelli che potranno uscire di casa e spostarsi senza autocertificazioni o validi motivi, che potranno spostarsi per fare cose inutili come andare a vedere uno spettacolo teatrale.
Vogliamo scrivere, nella nostra condizione di reclusi, una lettera agli uomini liberi di domani.
Vogliamo fissare i pensieri contraddittori di questi giorni in una forma cristallizzata, che sarà dichiaratamente inattuale tra qualche giorno. E di questa inattualità esplorare il fascino, la verità.
Vogliamo scrivere una lettera che si ascolti in cuffia, a debita distanza, in una piazza, insieme agli altri ma in sicurezza.
Vogliamo ripercorrere insieme questi giorni che hanno cambiato un pezzo di Storia, il primo di cui siamo stati diretti testimoni, con tutta l’eccitazione e l’angoscia che questo comporta.
Vogliamo fare una festa e domandarci cosa stiamo festeggiando.
Vogliamo chiederci: come va?
Vogliamo chiedere, noi reclusi, agli uomini liberi di domani, e quindi com’è uscire di casa? Siete liberi davvero?
di Enrico Baraldi, compagnia Kepler-452
Ci siamo ritrovati chiusi in casa, senza sapere quando avrebbero potuto ricominciare il lavoro. Ci siamo chiesti: che fare? Abbiamo pensato di riconvertire lo spettacolo in una riflessione su quello che ci sta succedendo in questi mesi, tra marzo e maggio 2020, a noi e al mondo attorno a noi. Mesi in cui abbiamo cambiato così tante volte abitudini e opinioni da avere l’impressione che fosse importante fermare qualcosa di questo presente. Allora ci siamo riuniti a distanza, sul web, e abbiamo scritto, registrato e montato le nostre voci pensando che, appena fosse stato possibile, le avremmo fatte ascoltare anche ad altri. Come una lettera al futuro.
Dovevamo realizzare uno spettacolo audioguidato sul tema della memoria. Non abbiamo fatto in tempo a cominciare e la realtà ci porta a un nuovo progetto, Lapsus urbano. Questo spettacolo si fruirà attraverso delle cuffie senza fili nelle quali trasmettiamo la voce che guida gli spettatori: il primo punto che abbiamo deciso di sottoporre all’attenzione dello spettatore è quello della sicurezza. Gli spettatori infatti saranno invitati a mantenere per tutta la durata dello spettacolo quella che abbiamo imparato a chiamare distanza di sicurezza, di almeno uno o due metri, e perché no, a indossare un dispositivo di protezione individuale, una mascherina. Dopo ogni replica disinfetteremo accuratamente ogni cuffia, e al netto di questa semplice operazione il tutto garantirà agli spettatori la sicurezza di assistere a uno spettacolo di teatro senza trovarsi in una situazione pericolosa dal punto di vista del contagio.
Sulla base di queste prerogative, Elena Di Gioia, direttrice della stagione Agorà, che doveva inizialmente ospitare un Lapsus Urbano sul tema della memoria in occasione del 25 aprile, ha deciso di seguirci sostenendo la creazione di questa nuova versione del progetto, in una strana trasposizione di segno: avremmo dovuto fare uno spettacolo sulla memoria del passato e ci ritroviamo a raccontare la memoria del presente.
Lapsus Urbano // Il primo giorno possibile è uno spettacolo scritto tra le mura della quarantena che si svolgerà fuori, all’aperto, in uno spazio pubblico, uno spettacolo pensato quando il fuori sembrava lontano e utopico. Andrà in scena non appena l’evoluzione delle misure restrittive permetterà di tornare a vivere e abitare i luoghi pubblici. È uno spettacolo per un gruppo di spettatori che potranno stare insieme, anche se a distanza gli uni dagli altri, isolati dal mondo esterno attraverso delle cuffie audio. Non abbiamo una data certa per questo spettacolo. Ma sappiamo che il primo giorno in cui sarà possibile farlo, forse sarà il caso di ricominciare a guardarsi, conoscersi, riconoscersi e assistere insieme a qualcosa, di muoversi, di spostarsi liberamente, di scegliere.
Sarà forse il caso di ricordare quanto è successo, interrogandoci collettivamente su cos’erano gli individui e la comunità, privati della possibilità di incontrarsi. Sarà il caso di domandarci: come stiamo ora? Sarà di certo il caso di guardarci in faccia e chiederci cosa vogliamo farcene di questa esperienza per immaginare diversamente il futuro.